L'Aquila. Il Papa e l’eredità di Celestino. «Universalità attenta ai dettagli»
Quando il 29 agosto 1294, nella Basilica di Collemaggio a L’Aquila, papa Celestino V stabilì che venisse concessa l’indulgenza plenaria a quanti confessati e sinceramente pentiti avessero visitato la stessa Basilica dai vespri del 28 agosto a quelli del giorno successivo, festa del martirio di san Giovanni Battista, forse neanche egli stesso poteva immaginare la portata di un gesto tanto "rivoluzionario". Sì, è lecito spendere un aggettivo tale per la Perdonanza celestiniana, che oggi, con la visita a L’Aquila di papa Francesco, riceve una nuova e autorevolissima conferma.
Rivoluzionaria, la scelta di Pietro Angeleri, non solo perché di fatto anticipava di sei anni ciò che il suo successore, Bonifacio VIII, avrebbe decretato per la Chiesa universale con il primo Anno Santo del 1300. Ma soprattutto perché era il segno della infinita e gratuita misericordia di Dio. Pensate: in piena epoca di "commercio" delle indulgenze, un Papa già eremita (quindi venuto da un altro "mondo" rispetto ai fasti e nefasti delle curie di allora) proclama con la sua scelta che l’amore misericordioso di Dio non si compra ma è offerto a tutti, e in primis ai poveri e ai diseredati, in maniera totalmente gratuita e sovrabbondante.
Oggi, 728 anni dopo, un altro Papa venuto da un altro "mondo" – anzi, per citare le sue parole, «quasi dalla fine del mondo» – aprirà la Porta Santa di Collemaggio ribadendo di fatto non solo l’intuizione di Celestino V ma anche tutto ciò che egli stesso ha fin qui messo al centro del suo ministero petrino. I poveri, paragonati alla «carne di Cristo», scelta preferenziale fin dall’assunzione del nome di Francesco; la misericordia, autentica bussola del suo pontificato, al punto che uno dei momenti più intensi di questi quasi dieci anni sulla Cattedra di Pietro è stato l’Anno Santo straordinario dedicato proprio alla misericordia; l’insistenza sull’infinita capacità di Dio di perdonare tutti i peccati, anche i più terribili, per cui mai bisogna disperare della salvezza. Ecco, è su terreni come questi che si misurerà la profonda consonanza tra Celestino V e Francesco (di cui parla anche l’arcivescovo dell’Aquila, cardinale Giuseppe Petrocchi, nell’intervista che pubblichiamo su "Avvenire" di quest’ultima domenica d’agosto). Non tanto sul tema della "rinuncia", come pure qualcuno con estrema fantasia aveva ipotizzato fin dall’annuncio del viaggio in terra d’Abruzzo, per essere poi smentito più volte nelle scorse settimane dal Pontefice in persona. Perciò è proprio su quegli stessi terreni che possiamo cogliere l’importanza della visita odierna, inversamente proporzionale alla sua durata (poco più di quattro ore), e anche la sua apertura al mondo.
Spalancando questa Porta Santa, primo Papa in assoluto nella storia, Francesco tornerà ad annunciare infatti che Dio ama tutti gli uomini, nessuno escluso, e offre a tutti il suo perdono. Dirà inoltre, come ha già fatto in una intervista-saluto agli Aquilani, che «il perdono è l’unica arma possibile contro ogni guerra». E qui si apre anche lo scenario della stretta attualità.
È lecito infatti attendersi dalla visita un nuovo appello alla pace. Non solo in Ucraina, ma in tutti i conflitti più o meno dimenticati, che non lo sono però nei pensieri, nel cuore e negli appelli del Papa (ieri nel Concistoro se ne è avuto un assaggio, con l’appello a non ricadere nella «miopia della guerra fredda»). E d’altra parte, il breve viaggio nel capoluogo, che porta ancora i segni del terremoto di 13 anni fa, assume anche una ulteriore valenza: quella di rendersi prossimi a chi soffre. In tutti i modi, in tutte le latitudini, per tutte le cause. Non a caso è previsto un incontro con i familiari delle vittime.
Non è chi non veda infine che questa visita si incastona come una gemma nel Concistoro in cui Francesco ha creato ieri 20 nuovi cardinali, 16 dei quali elettori, e che di fatto proseguirà domani e martedì con la riunione cardinalizia per mettere a fuoco la recentissima riforma della Curia, uno dei punti programmatici del pontificato. Non solo nel mondo, ma anche nella Chiesa c’è bisogno di perdonanza e riconciliazione, sembra dire la bella coincidenza. Per spingersi uniti fino agli estremi confini della terra nell’annuncio del Vangelo con «magnanimità umile» e «potenza mite», come ha detto ieri il Pontefice ai nuovi cardinali. Da questo punto di vista, a emblema può essere assunta la scelta di conferire la porpora a Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator, in Mongolia. Una di quelle «periferie», non solo geografiche, così care a Francesco. Un altro ponte ideale tra lui e l’umile eremita diventato Papa, l’attenzione verso i pochi fedeli di quella terra, ma più in generale verso le popolazioni "ultime". Tutto ciò che rende l’odierna Perdonanza ancora più una «universalità attenta ai dettagli».