Il Papa a Verona. La grandezza dei piccoli e la pace: il mondo cambia dal basso
La pace, lo sappiamo, cresce dal basso, respiro che si unisce ad altro respiro. È un prodotto artigianale, di cui devi avere cura quotidiana, senza stancarti mai, come il falegname che smussa la minuscola asperità del tavolo, come l’ultimo filo di lana che diventerà coperta, come il poeta alla ricerca della rima finale. La pace, ha detto papa Francesco a Verona, si realizza se sai stare dalla parte dei piccoli. Che, in apparenza, sono tutt’altro che pacifici. Piangono quando ritardi un attimo a rispondere, hanno le ginocchia sbucciate, e il disinfettante brucia, spengono la playstation se perdono la partita. Però la loro rabbia dura il tempo di una corsetta per raggiungerli e abbracciarli. Non hanno sovrastrutture, vedono nero il nero e bianco il bianco, e quando sono soli ti cercano, e se hanno due giochi l’altro è per il fratello, o l’amico. Fanno tutti così, o almeno vorrebbero. Non sono violenti ma possono diventarlo. Succede quando non gli permetti di essere quel che sono, se acceleri il loro tempo, se li tratti troppo da grandi.
Perché niente è più pericoloso di un bambino che non ha potuto esserlo, e adesso lo scopri un adulto pieno di rabbia, con discorsi che guardano sempre indietro pur avendo tanto futuro davanti. Prima regola per un domani di pace, dunque, spiega il Papa, è non rubare l’infanzia ai piccoli. E a quanti invece viene tolta! Da guerre di cui non sanno la ragione, da lavori spezzaschiena mentre dovrebbero studiare, da chi abusa della loro debolezza e ingenuità. L’alternativa o, meglio, la cura è l’amicizia regalata da chi invece sta bene, quella che cresce nella condivisione e con il perdono. Concetti richiamati dal Papa nel messaggio in cui invita tutti i bambini a Roma per la loro Giornata mondiale, il 25 e 26 maggio prossimi. La sofferenza, l’abbandono, sottolinea Francesco nella sua lettera, sono nemici da combattere con la pazienza, il coraggio, la creatività e la fantasia.
L'incontro del Papa con i bambini a Verona - Fotogramma
A ben vedere si tratta dello stesso patrimonio, di vicinanza e attenzione, che aiuta le persone cresciute a non sentirsi inutili, superflue, dimenticate. Anche i grandi infatti possono essere piccoli, trascurati, scartati. E quindi anche a loro Francesco pensa quando da Verona la sua voce diventa calda come un abbraccio per richiamare i principi su cui costruire un futuro di pace. Sono l’ascolto, l’armonia, su su fino alla fraternità. Ma perché tutti questi auspici non restino parole vuote, o peggio diventino utopia, bisogna assumere l’atteggiamento giusto. Sta a noi, infatti, decidere se vivere con i pugni chiusi o con le mani aperte, avverte Francesco. Non una differenza da poco, vuol dire sentirsi parte di un mondo in cui gli altri sono indispensabili o viceversa costruirsi una realtà che gravita solamente intorno a noi stessi, senza mai imparare nulla o crescere per niente. È la regola dell’umiltà, che non significa fingere di non avere talenti ma condividere quelli che abbiamo, farli fruttare anche nella crescita del fratello, dell’amico, del compagno.
Nel dialogo con i ragazzi e i bambini Francesco ha chiamato questo stile, di abbassamento e di parziale rinuncia al proprio io, «andare controcorrente». Capita quando si fa una scelta senza pensare tanto ai rischi, alle conseguenze, ma semplicemente perché è giusto, è bello, è buono. Punto fermo per realizzare un domani di pace, dunque, è ragionare al plurale, che poi significa avere il coraggio di sfidare l’impopolarità e il sarcasmo di chi ti invita a metterti al centro ironizzando «che t’importa? Pensa a quello che potresti avere, le mani devono essere pulite». E invece no, da Verona arriva un messaggio chiaro: la pace si costruisce sporcandosi di fatica con e per gli altri, perché nessuno sia privato del rispetto verso sé stesso. Perché abbiamo tutti nel Dna il gene dell’umanità e della speranza. Perché anche se non sembra, è veramente grande solo chi si fa piccolo.