Il papà di Emanuele e gli occhi di Dio. La domanda di un bimbo, la risposta del Papa
Corviale è uno dei grandi mostri di Roma e non è come quello di Bomarzo, la località nei pressi di Viterbo dove ti portano le agenzie turistiche. Questo nessuno lo va a vedere perché è un mostro vero, di quelli che è meglio non sapere. Sorto negli anni 80 del secolo scorso, è un immenso 'non luogo' frutto delle ideologie, un 'non quartiere' di quelli che gli architetti te li raccontano con parole che non sanno nemmeno loro. In quel posto senza dove e senza storia (che, come è accaduto, poteva essere occupato solo da abusivi senza casa) viveva il papà di Emanuele, un ateo che però aveva fatto battezzare il figlio.
Domenica 15 aprile il Papa si reca in visita a questa cicatrice della capitale ed Emanuele, che è un bambino piccolo con un papà morto quando era ancora più piccolo, fa al Papa la domanda più grande del mondo: «Papà era ateo. Ma ci ha fatto battezzare, noi figli, tutti e quattro. Era un uomo bravo. È in Cielo, papà?». Emanuele prova a dirlo davanti a tutti, ma scoppia a piangere perché le domande del cuore non possono essere amplificate dai microfoni. Il Papa lo chiama a sé e il bambino, quando è nell’abbraccio di Francesco, gli balbetta all’orecchio le parole che ho appena trascritto: parole che vogliono dire la paura di un bambino di non vedere più il papà.
Emanuele non sa di Scalfari e dell’intervista-non intervista al Papa sull’inferno «che non c’è»: Emanuele è solo un bambino con le domande che noi adulti affoghiamo negli oceani di parole: lui vuole sapere se è possibile davvero che un Dio buono tratti male un papà buono. Anche se è vero che suo papà non credeva possibile l’esistenza di un Dio che aveva permesso l’esistenza del Corviale. Il Papa che era stato zitto durante i fiumi d’inchiostro spesi per 'negare contestare approfondire riaffermare precisare' la vicenda inferno sì/inferno no, intervista sì/intervista no, si china su un bambino che usa le parole per fare le domande e non per buttarla 'in caciara' e risponde in modo semplice, usando, come il bimbo, le parole per dare le risposte e non per fare filosofie.
Così Francesco non dice che l’inferno non esiste ma dice che è Dio a decidere chi entra o meno in Cielo e poi torna sulla lezione del Vangelo, quella dell’albero che si riconosce dai frutti, della preghiera che non è una somma di parole, ma una vita che si offre a Dio per farne una testimonianza visibile della bontà di un Dio paterno, come ha fatto Emanuele testimoniando di suo padre che era buono. «Che bello che un figlio dica di suo papà: era bravo. È una bella testimonianza che quell’uomo ha dato ai figli. Se è stato capace di fare figli così, è vero, era un uomo bravo». Solo Dio decide chi va in cielo, ma Dio non decide secondo capriccio, né declina la misericordia secondo la linea del facile buonismo.
Il suo giudizio è il giudizio di un padre e si fonda sui frutti dell’amore: «Non era credente ma ha fatto battezzare i figli, aveva il cuore buono: com’è il cuore di Dio davanti a un papà così? Come può giudicare un papà buono un Dio che ha un cuore di papà? Davanti a un papà, non credente, che è stato capace di battezzare i figli e di dare loro quella bravura, voi pensate che Dio sarà capace di lasciare quel papà lontano da Lui? Pensate quello?». Il Papa rivolge le domanda alle persone che gli stanno davanti, che in quel momento rappresentano il popolo fedele di Dio, quel popolo che – secondo Gaudete et Exsultate n. 8 - «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui». La misura della giustizia di Dio non sono le parole dei dietrologi, il preciso discettare di chi fa la predica da laboratorio ma di chi, come il Papa, è in mezzo al popolo: «Gesù non è venuto a portare la salvezza in un laboratorio; non fa la predica da laboratorio, staccato dalla gente: è in mezzo alla folla!» (Angelus, 5 febbraio 2018).
E così papa Francesco, in mezzo alla gente del Corviale e al pianto dei bambini, riporta al criterio oggettivo del bene: chi dà frutti buoni è un albero buono, chi fa figli bravi è un bravo padre. E un bravo padre, secondo il santo popolo fedele di Dio, non può che essere tra i buoni del Paradiso: tra quelli che forse neppure sanno che tutte le volte che hanno fatto qualcosa di buono al più piccolo, lo hanno fatto a Gesù. Ma i bambini lo sanno. Come dirà Emanuele, tenerissimo, poche ore dopo. «Io ero quasi sicuro che [mio padre] fosse andato in Paradiso però ho voluto avere la conferma del Santissimo...».