Il direttore risponde. Il pallone che si può e si deve sognare (vicino alla gente, libero da impacci)
Caro direttore,
comincio a scrivere queste righe mentre l’Italia non è ancora scesa in campo contro l’Uruguay. Ma voglio dirle sin d’ora, anche se molti penseranno che sto sbagliando, che per me c’è più di un ragionevole motivo per non guardare i Mondiali di calcio. Molte sono le rappresentative di Stati europei che sono andate a giocare in Brasile mentre nel Mediterraneo migliaia di persone cercano di fuggire alle sciagure che hanno colpito la loro patria in Africa. È di queste persone che gli Stati europei si dovrebbero preoccupare mobilitandosi per far fronte a quella che è ormai una migrazione apocalittica. Non solo, diverse rappresentative appartengono a Stati palesemente belligeranti e in alcuni di essi la guerra fa centinaia di vittime ogni mese. Come se non bastasse, il Brasile, che ospita i giochi, ha speso somme ingenti per questa manifestazione pur a fronte delle proteste delle classi sociali più povere, che fanno fatica a tirare avanti. Ma che importa! Lo sport «unisce, supera le differenze , fa fraternizzare»! E soprattutto arricchisce coloro che già sono economicamente potenti, coloro che sugli eventi mondiali lucrano, lasciando solo le briciole ai “poveri cristi”. Io non ci sto, e ormai da anni mi rifiuto di partecipare anche solo come spettatore a questi eventi. Che dire poi del modello educativo che arriva ai nostri bambini dai calciatori e dalle tifoserie? Ma si possono guadagnare centinaia di migliaia di euro tirando calci a un pallone e portare a casa (quando si riesce a trovarlo, il lavoro) sì e no 1.600 euro al mese dopo anni di studio, di esami sostenuti, di concorsi superati o arrivare appena a 1.000 euro facendo i turni in fabbrica? I sacrifici degli operai, degli insegnanti, dei medici, degli infermieri, delle forze di polizia, degli artigiani e degli agricoltori sono forse inferiori a quelli dei calciatori? E che dire di quanto succede dentro e fuori gli stadi? Quanti episodi di arroganza quando non di violenza gratuita? Quanta rabbia espressa con il linguaggio e con le azioni contro persone e cose? L’atmosfera di una società come questa “intossica” ogni nostro bambino e abbiamo il dovere di assumerci delle responsabilità, correggendo il tiro di una passione che è diventata ormai solo pretesto di uno stordimento collettivo, spesso indotto e sfruttato ad arte! Mi si dirà che sono “qualunquista” ma sono certo che sono ormai veramente tanti i “qualunquisti” come me e questo è il mio invito a non guardare più le partite di calcio dei Mondiali, che l’Italia ci sia o meno, facendosi promotori di iniziative che spingano tutti, in primis i bambini, a una sana pratica sportiva che possa davvero educare al divertimento e allo spirito di gruppo. Mai più lo sport sia una professione da cui “spremere” cifre scandalose, ma torni a essere principalmente e semplicemente una sana passione, parte di una vita serena, che contribuisce veramente alla gioia condivisa!
Paolo Cingolani, Jesi (An)