Voto in Finlandia interroga la Ue. Il Paese più felice tentato dal sovranismo: perché?
«Ma non doveva essere il Paese più felice del mondo?». La domanda, venata di un sarcasmo che tenta di celare l’inquietudine, rimbalza da Bruxelles a Berlino, da Parigi a Stoccolma e ne nasconde a sua volta un’altra, quel tipico motto anglosassone che dice: «What went wrong?», che cosa è andato storto? E in effetti qualcosa non ha funzionato nella Finlandia che solo un mese fa il World Happiness Report dell’Onu poneva al primo posto nella percezione individuale della felicità, tenendo conto di fattori come prosperità economica, aspettativa di vita, stato del welfare e libertà individuale.
Ma in un Paese davvero felice non si indicono elezioni anticipate per i troppi tagli proposti dal governo allo Stato sociale e l’elettorato non spinge una formazione euroscettica e sovranista-populista come Perussuomalaiset (Veri Finlandesi) a mancare per una manciata di voti il primato nelle urne. Sul piano dei numeri hanno vinto i socialdemocratici, che dopo lunghi anni di opposizione tornano a governare – sempre che una coalizione degna di questo nome sia possibile – forti di quei 40 seggi guadagnati e per i quali ora l’Europa brinda al successo delle forze riformiste: un successo con un margine così risicato da non superare lo 0,2%, visto che dietro di loro, con 39 seggi e una manciata di suffragi in meno, ci sono i Veri Finlandesi di Olli Kotro: 17,53% contro il 17,71% di Antti Rinne.
Che cosa dunque non ha funzionato? E cosa invece ha funzionato benissimo? La domanda non riguarda solo la Finlandia, ma come ben si comprende si estende a tutta l’Europa, che a maggio andrà al voto che deve fronteggiare l’assalto delle forze sovraniste. Di certo gli elettori non hanno gradito il proposito di tagliare fondi alla Sanità, ma al tempo stesso non ha funzionato il reddito di cittadinanza, sperimentato per un paio d’anni su un campione di duemila persone che hanno ricevuto 560 euro al mese.
Risultato: certamente i beneficiari erano un po’ più felici, ma quasi nessuno ha trovato (o cercato davvero) un lavoro. In compenso ha funzionato la martellante campagna dei Veri Finlandesi sul diritto d’asilo, gettando benzina sul fuoco dei fatti di cronaca nera che hanno coinvolto i migranti. Materiale friabile, facile combustibile per il risentimento popolare venato di xenofobia, lo stesso che utilizzano gli alleati tedeschi di Alternative für Deutschland e i danesi di Dansk Folkeparti, ma soprattutto lo stesso che adopera Matteo Salvini nel promuovere la sua Europa del buonsenso.
Ed è qui che dobbiamo porre lo sguardo, in questo crogiuolo dove la delegittimazione delle élite, la crisi del liberismo e i limiti della globalizzazione si sono fusi in un nazionalismo identitario la cui missione è quella di abbattere il vecchio ordinamento cavalcando il risentimento delle classi svantaggiate e dei delusi dall’Europa matrigna. Un crogiuolo peraltro ampiamente favorito dalle due principali spinte centrifughe che affliggono l’Unione Europa, il tormentato processo della Brexit e la radicalizzazione del Gruppo di Visegrád: due indizi del malessere che hanno contribuito a fabbricare le parole per dirlo, quegli slogan che xenofobi, euroscettici, sovranisti e populisti ora adoperano con disinvoltura quasi eversiva.
Il bicchiere mezzo pieno delle elezioni finlandesi (chi ha vinto, alla fine: i socialdemocratici o l’estrema destra, l’argine contro il populismo o il qualunquismo antieuropeo?) rappresenta perfettamente il rischio che l’Europa si accinge a correre alle elezioni di maggio: quello di uno stallo fra le grandi famiglie politiche, molto probabilmente ancora maggioritarie, ma costrette a ospitare un terzo incomodo che cercherà di condizionarle. A meno che – in questo la Ue è maestra – l’incrocio magico fra piccoli favori e interessi di bottega non frantumi fin dal suo nascere l’armata sovranista che tanto fa tremare: ungheresi e slovacchi (due membri del temuto quartetto di Visegrád) già l’hanno dimostrato. E sarà questo, con tutta probabilità, il 'generale inverno' che finirà inceppare la marcia vittoriosa di chi vuol conquistare l’Europa a colpi di populismo alle vongole.