Dopo il trionfo di Zingaretti. Il nuovo tripolarismo e i tasselli che mancano
Come ampiamente previsto, Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, è il nuovo segretario del Pd. La sua affermazione è anche superiore alle attese - 65-70% delle preferenze, ben oltre il 50% necessario per prendersi il Nazareno -, segno che il popolo del Pd e del centrosinistra ha scelto di chiudere una stagione e di aprirne un’altra, superando definitivamente la leadership di Matteo Renzi.
Per il popolo delle primarie si è trattato, per certi versi, di una scelta obbligata. A fronte di un governo e di una maggioranza parlamentare che ha una chiara impronta di destra e con ambizione onnivora, a nulla giovava - questo il senso del voto ai gazebo - cullare il sogno di una “vocazione maggioritaria” nell’era del tripolarismo più che mai inafferrabile. D'altra parte, accanto al Pd e soprattutto alla sua sinistra si è formata dal 4 marzo del 2018 una galassia di formazioni che insieme vale un 10 per cento di elettorato: Più Europa, Leu, Mdp, De Magistris, Italia in comune, Sel. Oltre a diversi movimenti civici come Demos o che fanno riferimento a sindaci importanti come Sala a Milano e Zedda a Cagliari. Zingaretti ha un profilo giusto per tentare la ricucitura di questo mondo. Certo sarà difficile anche per lui radunare i pezzi più radicali di questo mondo, ma buona parte si siederà al tavolo. Così come si siederà, a suo modo, al tavolo un bel pezzo del mondo sindacale, anche quella Cgil che nell'era Renzi aveva rotto come mai prima il ponte "ideale" con il Pd.
La lunga "analisi" delle sconfitte iniziate il 4 dicembre 2016 si conclude dunque con la presa d'atto che è meglio ricostruire un fronte ampio, e soprattutto “blindarsi” a sinistra - sperando così di drenare anche consensi tra i 5stelle delusi - piuttosto che giocare la battaglia nelle terre di mezzo dell'elettorato.
Intuibile la strategia di Zingaretti, quindi. Così come è comprensibile il "mandato" del popolo delle primarie. E altrettanto comprensibili sia il sollievo dei padri nobili del Pd (da Prodi a Veltroni) sia le rassicurazioni dello stesso Renzi: è tale la criticità del momento che nessuno, in quest'area politica, può permettersi sgambetti per via dell'orgoglio ferito.
Certo, ci sono nodi da sciogliere a breve e altri che si proporranno inevitabilmente. Il primo nodo è cosa fare del simbolo del Pd. Zingaretti vuole dare una nuova identità “sociale” al partito, ed è un fatto che il "logo" dem appare usurato da una pratica di governo in cui l'accusa più frequente è stata quella di liberismo economico e di compromessi con i poteri finanziari. Nodo che andrà sciolto davvero presto, per le Europee di fine maggio, quando si proporrà di scegliere tra il listone Calenda “euroriformista” e uno schieramento “euroecologista". Il nuovo segretario sa che deve evitare la dispersione di voti (troppe liste in quest'area rischiano di non arrivare al 4% da sole) e proverà a fare sintesi dei due progetti.
Un nodo più a lungo termine riguarda, poi, come si riconfigurerà, nel Pd di Zingaretti, la presenza cattolico-democratica cofondatrice del partito. Non pochi, in quest’area, hanno sostenuto con convinzione il governatore del Lazio sebbene abbia promosso norme controverse come quella che intaccano, in riferimento all’applicazione della legge 194, un diritto fondamentale come quello all’obiezione di coscienza dei medici. Altri invece hanno preferito Martina. Ma quanto gli eredi di questa nobile tradizione potranno incidere nella visione, nei programmi e nelle prassi è tutto da vedere e qualche sostanzioso dubbio, in proposito, non può essere nascosto. La prospettiva di una "sinistra sinistra" che si oppone alla "destra destra" di Salvini potrebbe aumentare il rischio dell’irrilevanza degli eletti e dell’insoddisfazione dei potenziali elettori.
Altro nodo è l'atteggiamento verso l'altro polo, il Movimento 5 Stelle. Zingaretti può dare una sponda a quell'ala pentastellata che soffre l'alleanza con Salvini. Ma nulla accadrà in breve tempo, dentro il Movimento sono in atto trasformazioni politiche sofferte e che richiederanno diversi mesi di metabolizzazione.
L’evoluzione, possibile e forse probabile, verso un nuovo tripolarismo “radicalizzato“ potrebbe creare le condizioni per un "quarto polo" che sappia intercettare - attraverso una proposta altra e responsabile - chi si mantiene fuori da schemi rigidi, non si adegua a uno stile duramente contrappositivo e non si fa incantare dai tentativi di assemblare pezzi e macerie del vecchio quadro politico.