Il nostro posto nel tempo 4.0. Italia e paradossi della globalizzazione
Mentre gli italiani (e in generale le classi medie dei Paesi ad alto reddito) parlano dei disastri della globalizzazione, l’umanità ai tempi della globalizzazione non è mai stata meglio. Invece di fissarci sul tema dell’accoglienza dei migranti alle nostre frontiere marine, proviamo a guardare il mondo da un altro lato, tenendo insieme il tutto. Il sistema economico mondiale offre e continuerà ad offrire incredibili opportunità nonostante le sue enormi contraddizioni (a proposito di diseguaglianze, sostenibilità ambientale, qualità del lavoro). L’aspettativa di vita è cresciuta da 47,6 anni nel 1900 a 80,6 anni nel 2015 in Europa e con progressione analoga in tutti gli altri continenti. I dati di quest’anno ci dicono che nel Principato di Monaco le donne hanno un’aspettativa di vita di 93,5 anni, la frontiera a cui già oggi si può arrivare nelle condizioni economiche migliori. Ma per chi vive a San Paolo, in Brasile, la differenza tra quartieri bene e periferia è di 25 anni (79 contro 54 anni).
Le Cassandre della tecnologia dicono che il lavoro sta finendo a causa della rivoluzione 4.0 e dell’Internet delle Cose e sotto la nostra nuvola grigia sembra proprio così. La realtà dice che dal 2000 a oggi la forza lavoro mondiale è aumentata da 2,8 a 3,4 miliardi di persone, il tasso di partecipazione sceso dal 64% al 62% e la disoccupazione è rimasta pressoché costante sopra il 5%. Ovvero quell’economia globale in cui il lavoro dovrebbe scomparire ha creato in 18 anni quasi mezzo miliardo di nuovi posti di lavoro (40 milioni solo tra il 2015 e il 2016). Tutto questo perché l’innovazione tecnologica, da sempre, elimina lavori faticosi e routinari offrendo in cambio al lavoratore competente e formato un vantaggio produttivo enorme sulle macchine.
Nel 1820 l’83,9% della popolazione mondiale di allora (886 milioni di persone) viveva con meno di 1 dollaro al giorno. Oggi sotto quella soglia ci sono 179 milioni di persone (2,5% della popolazione). Anche se la quota di quelli che sono appena sotto quel livello di reddito resta inaccettabilmente elevata questo vuol dire che da allora il sistema economico ha consentito a più di 7 miliardi di persone di nascere e vivere sopra quella soglia. In un contesto siffatto, l’errore fondamentale in cui gli italiani rischiano sempre di cadere è trovare in altri (nel sistema, nella globalizzazione, nei migranti, nell’euro) la colpa dei propri limiti e dei propri sbagli.
Dovremmo impostare il problema in modo completamente diverso. Il sistema economico globale porta enormi frutti e, con essi, problemi importanti da superare e affrontare. Noi italiani come pensiamo di “conquistare” la nostra parte di raccolto? Con quale scala possiamo arrivare a cogliere questi frutti se non puntiamo su conoscenza, innovazione e competenze? Nel nuovo scenario globale l’Italia deve ritrovare la sua vocazione e il suo genius loci. Che si fonda su quattro elementi principali: capacità inventiva, “lunghezza”, ricchezza della sua storia, qualità del vivere.
Siamo una delle nazioni con il massimo tasso di creatività che paradossalmente si combina con la zavorra di un Sistema Paese (burocrazia, lentezza della giustizia civile) che sembra fatta apposta per frustrare questa creatività. Liberare lacci e lacciuoli di chi compie il più grande atto di amore che è quello di creare buon valore e buon lavoro è la prima cosa da fare. “Lunghezza” vuol dire biodiversità (la nostra è la maggiore in Europa) che si traduce in ricchezza e varietà enogastronomica oltre che qualità e varietà del paesaggio. La ricchezza della nostra storia è un patrimonio che attrae il mondo, di cui essere orgogliosi e su cui fondare le radici del presente.
La qualità del vivere ( fatta non solo di stile e buon gusto ma anche e soprattutto di qualità di relazioni e solidarietà) è un’altra dote che ci viene riconosciuta e su cui si sono fondate intelligentemente iniziative come quelle di Slow Food che aumentano l’attrattività dell’Italia. Siamo di fronte ad un bivio culturale prima che economico e sociale. Possiamo continuare con la logica del conflitto (con lo straniero, con l’Europa, con il “robot” o con chissà che cos’altro), del rancore e della paura del futuro.
Oppure scegliere il binomio costituito da solidarietà/inclusione e da investimento in formazione e innovazione, i due pilastri per una vita individuale ricca di senso e per una vita sociale ed economica generativa. Ricordando che ci saranno risorse a disposizione per creare reti di protezione per i più deboli e per finanziare il nostro welfare solo se sapremo vincere la sfida di continuare a creare valore. Due sono le leggi/equazioni fondamentali dell’economia.
La prima è quella dell’1+1=3 dove accoglienza, cooperazione, fiducia consentono di creare più valore di quanto avremmo fatto separatamente da soli (vale tra Stati membri dell’Ue, nelle trattative commerciali, per il rapporto coi migranti…). La seconda è quella dell’«uno contro uno minore di due» dove la logica del conflitto, propria di chi pensa di conquistare con la prepotenza una fetta più grande, finisce per ridurre la dimensione della torta. Inutile dire che è nella prima legge e non nella seconda il segreto della fioritura della vita personale, economica e sociale.