La catechesi del Papa. Il nostro Dio fatto uomo che piange come noi
«La cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati. Da questo ci salva la preghiera. Perché può succedere, e anche spesso, di non capire i disegni di Dio. Ma le nostre grida non ristagnano quaggiù: salgono fino a Lui che ha cuore di Padre, e che piange Lui stesso per ogni figlio e figlia che soffre e che muore. Da questo ci salva la preghiera». Nell’Udienza di ieri il Papa ha cominciato a parlare del Libro dei Salmi, 'patria' per i credenti nei millenni, parole scritte nella vita vera, nella vera sofferenza – quella che ci insegue, di generazione in generazione.
La cosa peggiore che può capitare è soffrire nell’abbandono, senza essere ricordati, dice il Papa, e allora ti succede di fermare il pensiero su quanti in questi mesi, in tutto il mondo, sono morti soli. Su quelle bare portate via con i camion, sulle fosse comuni in Brasile. Uomini come materia da smaltire. («La morte, che rende gli uomini cose», scrisse Simone Weil). Immagini - nell’eco dell’accento straniero, ma caldo di Francesco - le agonie solitarie, nell’abbandono di ogni volto caro.
Ciò che apparteneva prima ai poveri o ai diseredati, nella pandemia è diventato destino di molti, nel Primo Mondo che si credeva garantito, forte della sua scienza e dei suoi mezzi. In un diario da un ospedale madrileno un teologo spagnolo che si è ritrovato d’improvviso cappellano, Ignacio Carbajosa, racconta di questi uomini soli in una stanza, dei vecchi con il volto dei Cristo di El Greco, coperti solo di un pannolone. Magari erano potenti, erano ricchi.
Magari dopo una vita di dimenticanza ritrovano le parole del Padre Nostro - di quello in versione antica, quello che recitavano in Spagna da bambini. Perché nella preghiera il dolore si fa relazione, ricorda il Papa, e questo cambia del tutto l’orizzonte. Non sei più solo davanti a un muro cieco e incombente: Dio ti ascolta, e per lui ogni nostro dolore, assicura Francesco, «è sacro». In Dio, ogni volto è conosciuto e prezioso. Di più, aggiunge alla fine il Papa, lasciando il testo scritto, e andando a braccio: e sono spesso le cose più intense che ci dice, perché sembra dimentico di parlare a milioni di persone, e discorre dal cuore, quasi avesse di fronte proprio te. Dunque, conclude Francesco a braccio, «Dio piange per i nostri dolori, e ha voluto farsi uomo per poter piangere ». Per poter piangere proprio come un uomo.
«A me – confessa papa Bergoglio, e pare veramente che parli intimamente, a un amico – fa bene, nei momenti brutti, pensare ai pianti di Gesù, quando pianse guardando Gerusalemme, quando pianse davanti alla tomba di Lazzaro». Lazzaro che era un uomo, ed era amico di Gesù, ed era morto: e il Figlio di Dio davanti al suo sepolcro piangeva, come un uomo. Siamo in tempo di inaspettato, collettivo dolore e paura. Forse accade di pregare, anche a chi si è dimenticato ogni preghiera. Per pregare basta, come nei Salmi, «essere quel che siamo», dice Francesco. Così che il dolore diventi domanda, e quindi relazione. L’immensa differenza fra nessuno, e qualcuno che ti ascolta. Torni a immaginare quanti se ne sono andati fra le mura bianche di una stanza d’ospedale, senza un viso caro accanto.
Che differenza in quell’ora, fra il percepirsi come un niente, polvere, caso, e il gridare a Dio. Il nostro Dio che ci ascolta, e ci accompagna. Non un irraggiungibile Altro, un Creatore di universi siderali e infiniti, sordo al dolore e alla piccolezza di una creatura. Il nostro Dio, invece, che piange con noi. Che grazia, ricordarci di questo. Nei milioni di parole che ogni giorno vengono dette e gridate attorno alla parola 'Covid', frastornanti, anche ossessive, quante sono così fondanti e colme di senso? In una babele esondante di parole, le più vere. E ti riecheggia in mente la voce che doveva avere Pietro, quando molti avevano lasciato Cristo, e l’apostolo, smarrito, domandò: «Signore, da chi andremo?». Da chi andremo se non da Pietro per trovare parole, in questo tempo di solitudine e paura, altrettanto sorgive di uno sguardo che spera – oltre il buio.