Il «noi» dei cittadini. Locri, l'antimafia della vita vera con Mattarella e la Chiesa
Locri, l'antimafia della vita vera con Mattarella e la Chiesa «La lotta alle mafie riguarda tutti. Nessuno può dire: non mi interessa. Nessuno può pensare di chiamarsene fuori». Le chiarissime parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nell’incontro domenica a Locri coi familiari delle vittime innocenti di mafia, sono un forte richiamo alla corresponsabilità di tutti. Proprio di tutti. Parole che la mafia non gradisce, non tollera. Così nella notte successiva qualcuno ha scritto sul muro dell’episcopio slogan insultanti e furbi e frasi minacciose contro don Ciotti che coinvolgono anche il vescovo Oliva. Perché anche la Chiesa italiana ha parlato con nettezza, come ha ribadito il segretario generale della Cei, il vescovo Galantino, rivolgendosi ai familiari a nome di papa Francesco. «Deve essere chiaro a tutti che, con parole forti e con gesti credibili, la Chiesa è lontana mille miglia da chi, con arroganza e con violenza, vuole imporre logiche di sopraffazione e di malavita. Il capo dello Stato parla al mondo politico. «Bisogna azzerare le zone grigie, quelle della complicità, che sono il terreno di coltura di tante trame corruttive». Il pastore parla alla comunità dei credenti.
«Noi, come Chiesa, dobbiamo fare tutto il necessario per strappare il volante della violenza dalle mani della ’ndrangheta, delle mafie. Senza risparmiarci». Impegni concreti, parole comuni tra un presidente, che con la morte del fratello Piersanti, ucciso da 'cosa nostra', ha conosciuto direttamente il dolore provocato dalle mafie, e una Chiesa che, stimolata dall’insegnamento di papa Francesco, è sempre più attenta a tenere lontani i subdoli tentativi dei mafiosi di strumentalizzare il sacro. È una comunità che non dice solo 'no' alle mafie e alle collusioni, ma dice sì a una memoria che si fa concreto impegno di cambiamento. La lotta alle mafie, ripete sempre don Luigi Ciotti, «non è opera di navigatori solitari ma del noi». Lo ha ripetuto a Mattarella anche il vescovo di Locri, Francesco Oliva. «Con lei oggi diciamo no alle mafie e a tutte le associazioni criminali, diciamo no alla ’ndrangheta che insieme alla corruzione rappresenta una delle cause più gravi della crisi sociale del nostro tempo. Siamo certi che le mafie possono essere sconfitte, dipende dall’impegno di tutti e di ciascuno».
Un 'noi' che spiazza e preoccupa i mafiosi e le loro famiglie che, in questi giorni, hanno provato, invano, a inserirsi negli incontri e a interloquire. E poi hanno scelto di urlare con scritte sul muro dell’episcopio. Per dire 'ci siamo sempre' e per cavalcare il reale problema del lavoro. Violenti e falsi. «Sono loro a rubare il lavoro», accusa i procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. E il vescovo Oliva replica ai mafiosi. «A ognuno spetta un lavoro onesto e dignitoso e nessuno deve ricorrere al caporale o al boss di turno per veder soddisfatto un tale diritto. Non accettiamo che sia la ’ndrangheta a regolare la vita sociale e a dare occupazione a chi vuole». Hanno paura di perdere il consenso, i mafiosi. Hanno visto con preoccupazione il 'noi' calabrese materializzarsi e inaspettatamente riempire la tribuna dello stadio di Locri, e applaudire con convinzione la lettura del lunghissimo elenco delle vittime di mafia – 950 tra i quali 125 bambini – e molti dei passaggi dell’intervento di Sergio Mattarella.
E poi intonare, improvvisando, l’Inno d’Italia. «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta...». Sì, l’Italia, il 'noi'. Non solo la Calabria e le altre regioni del Sud. Le mafie si combattono e si vincono insieme. Tutti insieme. Ciascuno con la sua responsabilità. Non lasciando ad altri la fatica di liberarsi e di eliminare le condizioni che favoriscono le mafie. Non basta, infatti, la repressione, il prezioso e efficace impegno di magistratura e forze dell’ordine. È necessario, afferma Mattarella, «un tessuto sociale più solido, attraverso l’effettiva possibilità di lavoro e il buon livello dei servizi sociali e sanitari». Il presidente cita Giovanni Falcone. «La lotta alla mafia non può fermarsi a una sola stanza, la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere». Impegno che non può mai essere a corrente alternata. Anche perché, ha avvertito il Capo dello Stato, «la mafia è ancora forte, è ancora presente».
Come ha voluto subito far capire con le scritte minacciose. E questo rende ancora più urgente l’impegno di tutti accanto e insieme alla coraggiosa dignità dei familiari delle vittime che hanno trasformato il lutto in impegno di cambiamento. I familiari dei caduti anti-mafia lo ribadiranno oggi sfilando per le vie e le piazze di Locri. Oggi, 21 marzo, primo giorno di primavera, quando dal seme che muore nasce il fiore, anche nei terreni più aridi. Basta crederci e impegnarsi. Tutti. Domenica, alla veglia di preghiera nella cattedrale di Locri presieduta dall’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra, c’erano anche quattro ragazzi dei carceri minorili che partecipano a percorsi di recupero e reinserimento. Segno di speranza. E di corresponsabilità. La Calabria, dal greco 'sorge il bello', raccoglie l’appello delle massime cariche dello Stato e della Chiesa italiana. E oggi, ancor di più, reagirà positivamente alle nuove minacce ’ndranghetiste. Perché, davvero, è il 'noi' che vince.