Lettere ad Avvenire. Il «niente» in cui naufragano i bulli
Caro Avvenire,
nei giorni scorsi ha destato forte attenzione la decisione di un giovane papà di Mugnano di postare la foto del figlio tredicenne con il volto tumefatto, a seguito di atto di bullismo subìto. Il gesto di questo padre, finalizzato a far riflettere sul problema, ha riscosso (giustamente) forte solidarietà da tutto il Paese. Nell’onda positiva si è inserita una proposta rivolta da Claudio Gubitosi, direttore del Giffoni Film Festival, ai bulli di Mugnano. Il patron della più importante vetrina internazionale del cinema per ragazzi ha invitato i responsabili del brutale gesto a seguire in veste di giurati, assieme a colui che è stato loro vittima, la prossima edizione del Festival. Una proposta che ha destato perplessità e critiche, in quanto si “premierebbero” i carnefici invece di aiutarli a pentirsi della violenza fisica riversata su un loro coetaneo. Gubitosi ha voluto così motivare la sua iniziativa: «È solo un’opportunità che, da padre, vorrei dare a questi ragazzi per far conoscere loro la bellezza del rispetto per gli altri, la comprensione delle differenze. A Giffoni si rispettano le regole e potrebbe essere questo un buon motivo per creare un cortocircuito tra il mondo reale e quello virtuale, per far emergere i valori positivi che ogni ragazzo e ragazza ha, ma che, purtroppo, sempre più spesso non domina e non governa...». Personalmente, penso che si tratti di una presa di posizione forte, ma è coerente con una sensibilità che non è affatto figlia di una cultura del perdono “a prescindere”. Il direttore di questo Festival cinematografico per ragazzi “chiama” i bulli a (ri)stabilire un patto di coesione, a fare i conti con la propria coscienza, a ripiantare la radice di un dialogo. Credo si tratti di un atto cristiano (e anche sanamente laico). Padre David Maria Turoldo l’avrebbe attestato come «un canto d’amore da fratello a fratello». Portare anche loro a Giffoni non è un premio o una vacanza gratis; è un modo per provare a strapparli al torpore del male.
Caro Mastrangelo, quando le telecamere dei tg vanno ad esplorare i luoghi dell’ultimo gesto di bullismo trovano spesso piazze di provincia ordinate, crocchi di quindicenni ben vestiti e annoiati. Perché tormentare un compagno? Forse, drammaticamente, per fare accadere qualcosa in un 'nulla' di giornate scialbe, di scuola senza passione, di bar in cui tirare il pomeriggio. Io ho il ricordo di una mattina in cui portavo in auto a scuola un figlio quattordicenne, che fissava la strada con aria assente. «Che cosa c’è?», gli chiesi. E lui: «Sai, è che non succede niente». Allora avevo ripensato a me stessa a quell’età, e all’ansia che avevo di cominciare a vivere con una passione, con un obiettivo grande. Forse i 'bulli', interrogati, confesserebbero che il 'tutto' materiale che hanno non gli basta. E allora il gusto maligno del tormentare il più debole dà un sapore alle ore vuote. Nell’età in cui si smette di essere bambini, occorre trovare un senso forte alla vita. Ai tempi della mia adolescenza c’era la politica, a cogliere buona parte di questa domanda, e molti ne furono presi, e alcuni finirono male (e tuttavia preferirei certo sapere un figlio fra gli ultrà di sinistra o di destra, che in un giro di sopraffattori dei deboli). A quindici anni veramente il cuore degli uomini domanda qualcosa di grande, magari senza consapevolezza. Ed è successo spesso che ragazzi tolti alla strada trovassero, dietro a un volto buono, una fede profonda. Un volto che li sfidi a capire di cosa hanno bisogno. Può essere un professore, un prete, un compagno. Qualcuno che abbia il loro destino a cuore, davvero. Per questo la proposta di Gubitosi a me piace. Naturalmente, chi ha fatto del male va punito. Ma una punizione non basta. Occorre, a quindici anni, ricominciare. Si può ricominciare partendo da una bellezza. Guardando, attraverso il cinema per giovani, le facce degli altri, le loro sfumature, gli occhi: restando attenti, il cellulare spento, le chiacchiere da bar zittite. È un gesto eclatante ma paterno quello di Gubitosi, il gesto di uno che pensa ai figli. E quanto abbiamo bisogno, in questo tempo, di padri e maestri!