Crisi di governo. E il Movimento entra di peso nella partita
Con le prime aperture di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio al nascente governo di Mario Draghi inizia una fase nuova per il Movimento 5 Stelle e per gli scenari politici generali del Paese. Sgomberiamo subito il campo da alcune ingenuità. Certamente, incide sulla rimozione dei pregiudizi di partenza verso l’ex governatore della Bce lo stato di assoluta ingovernabilità dei gruppi parlamentari M5s, che trovano ormai ragioni di unità solo sulla prosecuzione della legislatura.
È un dato di fatto. L’altra ingenuità in cui si potrebbe incorrere è quella di credere che di colpo, in una luminosa mattinata invernale di Roma, il Movimento del 'vaffa' abbia interiorizzato tutte insieme le regole auree della stabilità, della governabilità, della tenuta istituzionale, dell’europeismo, dell’atlantismo e dell’affidabilità verso i mercati insieme e accanto all’attenzione ai cittadini: il processo, in verità, si annuncia lungo e tormentato, per ora solo una piccola parte del ceto politico pentastellato – tra l’altro contestato dalla base – ha fatto il 'salto'.
Un’ulteriore ingenuità potrebbe essere quella di proiettare frettolosamente il Movimento fuori dalla stagione populistica mettendogli addosso una stretta veste istituzionale. Le modalità da 'predellino' con cui Conte ha annunciato la propria posizione dicono, in parte, il contrario: la piazza anziché la più sobria sala stampa di Palazzo Chigi, un tavolino infarcito di microfoni, le parole non prive di accennati risentimenti (verso Renzi) e di pressioni (sullo stesso Draghi). Sgomberare il campo dalle ingenuità non vuol dire però cancellare il segnale politico. Che c’è ed è oggettivamente forte. M5s è in campo, non torna sull’Aventino, non si 'ricongela' e si mette in gioco anche a costo di pagare un ulteriore prezzo elettorale.
Le Stelle che Draghi cercava, ora le può trovare. Forse non tutte. Ma, dal suo punto di vista, meglio così: vorrà dire incontrare meno tabù e meno veti. Allo stesso tempo, il Movimento resta in campo come fattore non ambiguo del sistema politico: dentro il nuovo polo dello 'sviluppo sostenibile' con Pd e Leu, in coalizioni larghe alle prossime amministrative, e in dialogo in Parlamento anche con i rappresentanti italiani del Ppe, compresa Forza Italia. In prospettiva, il Movimento diventa un interlocutore (di quale peso si vedrà) per la governabilità nel neoproporzionale che avanza. Se ne può legittimanente sorridere, pensando alle origini.
Ma questi sono i fatti. E vanno quantomeno registrati. L’ispiratore della strategia è Luigi Di Maio, che nell’alta scuola diplomatica della Farnesina ha imparato anche a togliersi dai radar, a parlare con le vecchie care note-stampa e ad agire dietro le quinte. Il frontman, invece, è Giuseppe Conte. Lì al centro della piazza-simbolo del potere politico ha voluto comunicare ufficialmente di essere diventato un attore politico.
Un leader che non fa evaporare in un rovente rancore la popolarità raggiunta. Pur tentato dall’ostracismo e dal gran rifiuto, ha fatto la sua 'mossa del cavallo', un cavallo comunque più pesante di quello dell’arcinemico Renzi che gli consente di sparigliare nel gioco degli errori sin qui messo in scena da entrambi. Tornando al tavolo, e rappresentando il gruppo parlamentare di maggioranza relativa, sia lui sia il M5s possono restare centrali in quello che dovrebbe essere l’anno del rilancio, marginalizzando proprio il ruolo nella futura maggioranza di Italia Viva. Certo la mossa del tandem Di Maio-Conte risulterà inutile se il riposizionamento di M5s non sarà anche sui contenuti, con l’abbandono definitivo della cultura dei 'no' concausa del fallimento di entrambe le esperienze di governo a trazione pentastellata.
E risulterebbe francamente incomprensibile rompere uno dei tabù più ostici, quello contro i 'tecnocrati', e poi far impantanare l’azione di governo attorno a qualche bandierina ideologica. In questo contesto, la nascente compagine guidata da Draghi potrebbe assumere una caratura da 'Governo di servizio' non solo per il Paese ma anche per la politica nazionale. Il nuovo centrosinistra annunciato dal 'predellino' di Conte potrebbe prendersi il tempo di assumere una forma (e un programma) più credibile. Analoga finestra di ridefinizione potrebbe aprirsi per l’attuale destracentro italiana.
Se anche Salvini e Meloni resisteranno alla tentazione di speculare su una loro posizione di opposizione a prescindere, se non ostacoleranno l’ingresso in maggioranza delle componenti moderate della coalizione, magari perderanno qualche zero virgola nei sondaggi ma contribuiranno a restituire l’immagine di un Paese affidabile a breve, medio e lungo termine. Il Recovery plan 'aggiustato' da Draghi sarebbe, in questo scenario, il minimo comune denominatore di un Paese un po’ più unito e meno machiavellico. E la stessa partita del Colle, tra un anno, potrebbe addirittura diventare un momento di pacificazione nazionale.