Dopo-Cop26 e transizione ecologica. Il momento di accelerare
Mentre a New Delhi le autorità decidevano di chiudere per una settimana le scuole per livelli d’inquinamento che rendono l’aria irrespirabile, l’India frenava sul documento finale di Cop26 indebolendo l’accordo finale sull’uscita dal carbone e sulla eliminazione dei sussidi alle fonti fossili. E confermava un programma di costruzione di nuove centrali a carbone e di ampliamento di quelle esistenti. Aspettiamo con trepidazione l’entrata in scena di giovani attiviste indiane o cinesi e che le classi medie e l’opinione pubblica di questi Paesi si rendano conto di quanto i ritardi nella lotta contro l’insostenibilità ambientale danneggino in primo luogo loro stessi.
Ma nel frattempo dobbiamo agire. I risultati di Cop26 non sono certo incoraggianti ma non fanno che ribadire che non possiamo aspettarci il cambiamento solo dalle conclusioni dei grandi vertici. Anche Greta Thunberg è tornata a dirlo con chiarezza: «Il vero lavoro continua fuori da queste sale». La transizione ecologica è in mezzo al guado e restare in mezzo al guado è doppiamente pericoloso. Da una parte ci allontana dagli obiettivi che dobbiamo raggiungere, dall’altra si rischia di alimentare 'inflazione verde' quando il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili dal lato dell’offerta di energia (passaggio che comunque sta avvenendo) è più veloce della transizione dal lato della domanda di cittadini e imprese.
Per capire come possiamo fare dobbiamo innanzitutto renderci conto che le economie non cambiano per editti dall’alto, ma attraverso la modifica dei sistemi d’incentivo che spingono e rendono conveniente per famiglie e imprese muovere in una nuova direzione. Per questo la chiave strategica per il futuro, a cominciare dal nostro Paese, è lavorare sugli incentivi alla transizione ecologica soprattutto dal lato della domanda delle imprese operando in due direzioni: il premio ex ante agli investimenti che incidono positivamente sulla transizione ecologica e quello ex post sui risultati di riduzione delle emissioni climalteranti.
Stiamo parlando nel secondo caso della logica dei contracts for carbon differences suggeriti dall’Ocse che si propongono di remunerare le tonnellate di CO2 evitate nei settori ' hard-to-abate' come acciaio, cemento e plastica dove la transizione è più difficile. Il premio di risultato ex post ha il vantaggio di spingere le scelte di ricerca, investimento, innovazione e produzione del sistema nella direzione giusta, di guardare al risultato degli interventi e di essere 'tecnologicamente neutrale' stimolando ogni tipo di innovazione verso la transizione ecologica. Abbiamo bisogno di una misura del genere perché, a oggi, siamo di fronte al clima nella stessa situazione in cui eravamo un anno fa nei confronti della pandemia, ovvero senza ancora un 'vaccino' in grado di farci guardare con ottimismo il futuro. Abbiamo bisogno ancora di molta innovazione per rendere fattibile la sfida, ma possiamo essere ottimisti che, data l’incredibile velocità di circolazione di conoscenze nella comunità globale, l’innovazione ci sarà soprattutto se sapremo premiarla e incentivarla opportunamente.
Scegliendo questa direzione di marcia, una graduale eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi (quasi 19 miliardi di sussidi pubblici che agevolano solo in Italia le fonti fossili) diventa possibile in un quadro di transizione equa che preveda compensazioni e trasformazione dei sussidi ambientalmente dannosi in sussidi ambientalmente favorevoli per tutte le categorie interessate.
Sullo sfondo, la grande trattativa irrisolta tra i grandi del pianeta prosegue, ma ha anch’essa bisogno di uno stimolo in più. I 'primi della classe' nella lotta all’emergenza climatica come Unione Europea e Stati Uniti possono e devono evitare che i loro sforzi siano vanificati dal dumping socio-ambientale di Paesi terzi, introducendo il border adjustment mechanism, ovvero una tassa alla frontiera per prodotti che arrivano da altri paesi da filiere che non rispettano i nostri standard ambientali. Non si tratta, lo ribadiamo ancora una volta, di un dazio o di una misura ostile verso altri perché prodotti green provenienti da quei Paesi non pagherebbero la tassa.
Si tratta piuttosto di un provvedimento che va nella direzione giusta e può evitare che la competizione commerciale sia gara al ribasso su diritti e sostenibilità incentivando tutti a procedere nella direzione della transizione ecologica. In questo quadro complesso, le nostre scelte e il nostro voto col portafoglio restano fondamentali. Con le conclusioni della Settimana sociale di Taranto le comunità cattoliche italiane provano a dare una spinta impegnandosi in direzione di consumo e investimento responsabile e costruzione di 'comunità energetiche'. Il centro del sistema economico globale sono i mercati dove domanda e offerta s’incontrano ogni giorno. Se la generazione di Greta e tutti noi riusciremo a dare segnali sempre più forti e concreti con le nostre scelte di acquisto e il cambiamento dei nostri stili di vita, imprese e istituzioni che inseguono domanda e consenso elettorale seguiranno. È in parte quello che sta già accadendo ma dobbiamo assolutamente accelerare.