Opinioni

Il miglior interesse dei bambini. La sentenza di Trento, genitorialità, essere figli

Giuseppe Anzani sabato 4 marzo 2017

Chiavi e grimaldelli. È una scienza il diritto interpretato? Sono verità le sue pronunce, i suoi proclami, i suoi grandiosi affreschi sistematici, sono preziosi attrezzi per aprire gli scrigni della sapienza e della giustizia; o i suoi cavillosi sillogismi dai nessi azzardati sono arnesi per forzarne ad arbitrio i recinti? Gli uomini si attendono certezze sulla durevole, e non stagionale, identità fra il diritto ( jus) e la giustizia ( justum); ma il dubbio, quel dubbio che rode la fiducia degli ingenui di fronte alle acrobazie dei giureconsulti, ancora rammenta la disincantata risposta di Trasimaco alla domanda di Socrate sulla giustizia: «È il tornaconto dei più forti». Tra le chiavi preziose, nate dalla storia all’indomani di grandi catastrofi (vedi le Dichiarazioni universali, le Carte, i Trattati, le Convenzioni che hanno costellato il secolo breve e insanguinato che abbiamo alle spalle) ce n’è una bellissima che riguarda i bambini. Dice che i bambini hanno diritto a una speciale protezione e amore; dice che 'in tutte le decisioni relative ai bambini (siano di istituzioni pubbliche o private, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi), l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente' (New York, 1989).

La stessa cosa ripete la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 2000). Nel mondo è stato coniato lo slogan del best interest of child. È divenuto un cardine di civiltà, una lama di luce nel buio delle infinite crudeltà e ingiustizie di cui i bambini sono stati e sono vittime nel mondo. Child vuol dire bambino, child vuol dire figlio. Egualmente, enfant è il bambino e enfant è il figlio. Perché cominciare a esistere, venendo al mondo, è sempre vita da vita, è generazione, è filiazione. Essere significa essere figli. Per il diritto italiano, la centralità del figlio caratterizza la relazione parentale come dovere prima di tutto (così dice l’art. 30 della Costituzione); dovere che non si esaurisce nel mantenere, istruire ed educare, ma esige di rispettarne le capacità, le inclinazioni naturali e aspirazioni.

Quella che un tempo fu chiamata «potestà» ora si chiama «responsabilità genitoriale». I figli sono tutti uguali, tutti con gli stessi diritti, senza distinzioni. Il primato d’importanza del bambino fonda il suo diritto «di crescere ed essere educato nell’àmbito della propria famiglia», norma prolettica dell’intera legge sull’adozione. La genialità di una filiazione sociale per un bambino senza nessuno, infatti, è il dono doveroso di dargli un padre e una madre, a rimontare la sventura dell’abbandono; una famiglia che la legge vuol fatta di coniugi, idonei, non separati (il best interest). Quale diversa realtà sia la produzione programmata di un bambino per desiderio di adulti che non possono generare, come accade nella maternità surrogata, col contratto che strappa il figlio alla madre al parto e lo consegna ai committenti, è sotto gli occhi di tutti; violenza atroce contro la donna e la maternità. In Italia è delitto, in alcuni Paesi si fa; e c’è modo in Italia di beffare la legge usando la legge: di solito si usa quella delle trascrizioni anagrafiche.

A Trento è stato più solenne: i due papà dei gemellini nati in Canada, con ovuli di una madre fecondati e impiantati in un’altra madre che li ha partoriti e consegnati secondo contratto, erano stati dichiarati entrambi papà da una Corte canadese; la Corte di Trento ha detto che quanto deciso là deve valere qua. Ecco il nocciolo. Ma costernarsi per la soluzione prona al diritto canadese (e alla sua aberrazione) non è tutto; c’è qualcosa di insopportabile nella giustificazione appiccicata, che, tutto sommato, avere nessuna madre (perché due madri sono state usate e rimosse) e due papà, due 'veri papà' secondo legge, invece che uno solo, è il miglior interesse dei bambini. Ma lasciatelo dire a loro, a loro, in tutta la storia, che cosa gli è stato dato e che cosa gli è stato tolto.