Il direttore risponde. Il «matrimonio per tutti» è un danno e proprio per tutti. Parola di laico
Gentile direttore,
sono magistrato, in servizio presso la Corte di appello di Napoli, e mi occupo essenzialmente, e da molti anni (anche “scientificamente” su diverse riviste giuridiche) di diritto di famiglia e delle persone. Le dico subito che sono laico, profondamene laico, e non credente (il che, per me, non è sinonimo di ateo): mi considero lontanissimo dalla Chiesa cattolica. Il discorso sarebbe lungo, e qui non interessa approfondirlo: peraltro – nel mio lavoro scientifico – do molta importanza alle posizioni cattoliche e a ciò che scrive il suo giornale, che trovo molto ben fatto, e che affronta le tematiche familiari con equilibrio e completezza (fermo che, di norma, non condivido una parola...). Le scrivo però, perché mi pare ci sia un sostanziale silenzio di parte cattolica sulle ultime trasformazioni del matrimonio, che rischiano di snaturarlo, in termini nocivi per tutti. Ad esempio, di recente è stato introdotto il divorzio (e la separazione) “municipale” , innanzi al sindaco: fermo che, sotto il profilo pratico, allo stato è una riforma irrilevante, sono sfuggite ai più le implicazioni potenziali. Il divorzio è stato equiparato, nella sostanza, a un cambio di residenza. I cattolici si attardano invece in una assurda opposizione al cosiddetto “divorzio breve” (o immediato). Noto poi che le totali chiusure cattoliche in materia di tutela delle coppie di fatto stanno portando, inevitabilmente, a riforme ben più radicali di quelle che sarebbero state possibili e accettabili ancora pochi anni fa. Lasciamo stare i profili internazionali: voglio attirare la sua attenzione sul disegno di legge in corso di esame al Parlamento sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. A me sembra una “truffa” delle etichette: non c’è stata una equiparazione totale al matrimonio (come ancora nei testi iniziali), ma solo in apparenza, perché poi sono richiamate tutte le norme più significative che riguardano il matrimonio, compresi i doveri reciproci e gli obblighi economici. Addirittura si applicheranno le norme su separazioni e divorzio. A questo punto ci vorrà poco per far cadere il nomen utilizzato, che potrà essere inteso come “discriminatorio”.
Attenzione: che le unioni omosessuali debbano essere riconosciute e tutelate è ormai indispensabile anche nel nostro Paese, e imposto dalla Corte Costituzionale. Ma davvero occorre arrivare alla equiparazione (quasi) totale? Il principio di eguaglianza significa “a ciascuno il suo”, non a tutti lo stesso, ma mi sembra che questo principio giuridico fondamentale si stia perdendo. Il «matrimonio per tutti», tanto per usare una formula alla francese, svilisce il matrimonio di tutti, o meglio quello eterosessuale (ma a mio avviso è una tautologia: il matrimonio, per quanto il contenuto dell’istituto sia variato nei secoli, è pur sempre l’unione stabile tra uomo e donna).
Temo per i figli: questi hanno diritto, in linea di principio, alla bigenitorialità nel senso di alterità di sesso tra i genitori (salvo situazioni particolari, che danno luogo, ad esempio, all’adozione). La nuova legge sembra precluderlo agli omosessuali, ma anche qui, a questo punto, è facile immaginare una serie di successivi interventi demolitori... Già la giurisprudenza, del resto, sta aprendo, talora in modo sconcertante, a forme di filiazione in favore di coppie omosessuali (non sempre con attenzione all’interesse concreto dei figli). In conclusione io credo che le cecità di parte cattolica, l’anche arrogante rifiuto di ogni soluzione diversa rispetto a un indifendibile “esistente”, siano concausa di tutto ciò. Non crede che ci sia spazio per una riflessione più serena, non confessionale, fondata sul colloquio senza prevenzioni tra laici e cattolici, a tutela di valori comuni a tutti?
Geremia Casaburi