Un giorno, tornando a casa, sul bordo della strada il piccolo Usain trovò una lampada. Era impolverata e così le diede una strofinatina con il bordo della maglietta. Subito ne uscì un Genio che gli sorrise dicendo: «Ciao! Esprimi pure un desiderio». Un bambino avido avrebbe chiesto: un mucchio di denaro. Un bambino goloso: un mucchio di dolci... Usain no. E non ci pensò neppure un istante. Sapeva benissimo che cosa voleva ed era quello che voleva da sempre, da quando aveva cominciato a correre prima ancora di camminare. Così disse: «Vorrei le ali ai piedi». In questi ultimi giorni, attorno all’uomo più veloce del mondo, Usain Bolt, si sono sprecate parole infinite per spiegare la sua velocità abnorme, spaventosa, esagerata. Tra le innumerevoli spiegazioni, e in assenza di una spiegazione vera, indiscutibile e definitiva, perché non la lampada con il Genio dentro? In fondo di una fiaba si tratta. La fiaba di un marziano nato in Giamaica, un ragazzone troppo alto e troppo svelto e troppo troppissimo per essere di questo mondo. Tra l’altro, ben sapendo di come le persone superdotate facilmente possano rendersi antipatiche, non lasciando spazio alcuno ai normodotati e anzi tendendo a irriderli, prima di rintanarsi nella sua lampada il Genio ha concesso a Usain un dono supplementare: la simpatia. Usain sembra passeggiare, mentre gli altri aggrediscono la corsia. Sembra appoggiare i piedi su nuvolette di schiuma, mentre gli altri affondano nel terreno. Non sembra neppure sudare e sorride, mentre gli altri sprizzano sudore e una smorfia da fatica somma gli devasta il viso. Eppure non umilia gli avversari. La sensazione è che potrebbe massacrarli ma non ne avverta né la necessità né il desiderio, e rallenti per non distanziarli troppo, come fanno certi adulti con i bambini. Non ha atteggiamenti da spaccone. Non esterna: forse siamo distratti, ma non sapremmo declamarvi la sua Weltanschauung. Incredibile: pare non sia stato fotografato con alcuna velina. O a qualche festicciola notturna in locali allegri con due escort per braccio. A Usain Bolt il Genio benefico ha regalato perfino il dono impagabile della misura. Tutto un regalo, niente merito? Usain deve dire grazie a mamma, a papà e agli antenati. All’aria della sua isola. Alla passione con cui si vanno a cercare gli uomini con le ali ai piedi, che da noi probabilmente verrebbero subito impostati da centrocampisti di fascia o da difensori laterali. Ma Usain deve dire grazie anche a se stesso perché la sua corsa non è solo istinto e 'genio'. Lo sa bene chi, in bici, si trova ad affrontare una curva a 40 chilometri all’ora. Se non sei capace, o vai dritto e sbatti o scivoli sul fianco. Ieri sera allo Stadio Olimpico di Berlino, nella finale dei 200 vinta frantumando il primato del mondo (19'19), Usain per i primi cento metri ha tenuto velocità ed equilibrio stando tutto piegato, spingendo in avanti ma anche a sinistra, annullando avversari e soprattutto forza centrifuga. Poi si è raddrizzato impiegando tutta la sua energia per spingere soltanto in avanti, allungando la falcata marziana là dove i pur talentuosi terrestri non possono. C’è talento, innato. E c’è tecnica, appresa. Il ragazzo con le ali ai piedi ha sorriso felice. Non suscitando invidie, risentimenti o antipatie, tutti abbiamo sorriso con lui. Anche a noi sarebbe piaciuto, da bambini, trovare la lampada. Ma, se proprio qualcun altro doveva trovarla, meglio Usain. Che ha scelto il dono giusto. E lo usa nel modo giusto.