Il mandato che più conta. Una serissima questione di democrazia
È piuttosto curioso (per chi non vuole allarmarsi) o preoccupante (per chi nutre già una certa ansia per la tenuta istituzionale del Paese) quanto sta accadendo attorno alla vicenda della nave "Sea Watch 3", costretta in rada davanti a Siracusa. È curioso, per cominciare, che il ministro dell’Interno abbia accusato i parlamentari Prestigiacomo, Fratoianni e Magi di «non aver rispettato le leggi» (non ha specificato quali) per aver fatto visita, domenica, ai migranti a bordo dell’imbarcazione e aver riferito agli italiani - anche a quelli che hanno votato per Salvini - quale situazione hanno trovato.
Ma la Costituzione italiana riconosce al Parlamento e ai suoi singoli componenti una serie di prerogative di controllo sull’attività del governo, dal sindacato ispettivo esercitato con interrogazioni e interpellanze fino al potere inquirente operato attraverso le Commissioni parlamentari d’inchiesta. In più, all’articolo 67, la stessa Carta stabilisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
Perché la Repubblica Italiana è una democrazia parlamentare, dove agli eletti (da tutti) è attribuita la facoltà di vigilare sul rispetto dei princìpi dello Stato di diritto. Per intenderci, l’occhio di un deputato o di un senatore è l’occhio del popolo sovrano, di tutti i cittadini e non soltanto dei suoi elettori. Soprattutto laddove a questi ultimi non è consentito arrivare: nelle carceri o nelle caserme, per esempio. O su una nave ancorata nelle nostre acque territoriali. Perciò non è curioso, ma sconcertante, il tira-e-molla che la delegazione del Pd guidata da Matteo Orfini e Maurizio Martina ha dovuto ingaggiare ieri per poter salire a bordo. E la notizia, data dagli stessi deputati dem, di essere finiti sul registro degli indagati appena riscesi a terra.
È poi curioso, per proseguire, che lo stesso ministro poche ore prima di attaccare i deputati delle opposizioni aveva (legittimamente) fatto appello alle sue guarentigie di senatore della Repubblica rispetto all’azione dei magistrati che vorrebbero processarlo per una vicenda del tutto analoga, quella della nave "Diciotti". Come se le prerogative parlamentari valessero a corrente alternata.
La curiosità invece sfuma e assume più decisamente i contorni dell’allarme quando, come è accaduto ieri, i capigruppo del partito di cui il ministro-senatore è leader diffondono una nota ufficiale per dire che processare Matteo Salvini significherebbe «processare il governo». Questo perché il ministro avrebbe «contemporaneamente agito nel pieno rispetto delle leggi e della Costituzione e ottemperato al mandato ricevuto dagli elettori». Ma la prima parte della motivazione è, in tutta evidenza, quanto meno da verificare nelle sedi e nelle modalità previste, perché non basta certo un comunicato. Mentre la seconda parte appare infondata, in quanto un ministro non riceve alcun mandato dagli elettori. Ci sarebbe piuttosto da discutere seriamente se tra i poteri del ministro dell’Interno ci sia quello di decidere quali imbarcazioni possano entrare nei nostri porti.
In ogni caso, il ruolo delle Camere e dei loro componenti non possono essere compressi se non nei limiti fisiologici tracciati dalla Costituzione. Non che non sia mai accaduto con i governi precedenti. Anzi. Ma va notato che, per la prima volta, la legge di bilancio dello Stato è stata approvata senza di fatto essere stata, non discussa, ma nemmeno letta nelle commissioni e nelle Aule. E che ora si mette in dubbio la legittimità di alcune azioni da sempre riconosciute tra le facoltà di deputati e senatori. Secondo la signora del giallo, Agatha Christie, tre indizi formano una prova. Siamo già almeno a due.