Opinioni

Editoriale. Il Libano tra guerra e mistero

Maria Gloria Riva venerdì 27 settembre 2024

Murales a Tiro in Libano

Oggi la parola Libano, evoca bombe, paura, soprusi, evacuazione; le foto che scorrono davanti ai nostri monitor sono immerse nel grigiore della guerra. Eppure il Libano è un Paese pieno di bellezza, di profumo e di luce. Il suo stesso nome, Laban, nelle lingue semitiche significa “bianco” e allude alla corona innevata dei suoi monti, ammirabile dalla Siria o da Israele. Basterebbe scorrere velocemente il lessico biblico, i suoi luoghi e le sue città per accorgerci delle innumerevoli volte in cui il Libano viene menzionato nel Primo Testamento: settantuno volte. Trentacinque volte le località libanesi, settantacinque i leggendari cedri del Libano, cantati dalla Bibbia quale parabola del giusto, colmo di benessere e felicità. Avevo il cuore gonfio di lacrime mentre, meditando queste cose, leggevo alcuni passi dei testi Sacri. Sembra incredibile come il profeta Osea, per bocca del Signore, citi il Libano al fine di rincuorare Israele e dirgli che è finita la sua schiavitù, che sarà guarito dalle sue infedeltà, che metterà radici come i cedri spandendo nel mondo fragranze libanesi (cfr Os 14, 5-8). Mettere radici come i cedri, innalzarsi come loro al di sopra delle brutture, e profumare il mondo con la fragranza della pace. Questa, forse, è la vera vocazione del Libano. Negli anni in cui vissi nel Monastero di Monza, dalla finestra della mia cella vedevo davanti a me un cedro altissimo. La sua presenza mi era cara e trasformava quel piccolo angolo del mondo in uno spaccato della Sacra Scrittura. Il suo profilo maestoso disegnava splendidi arabeschi nel cielo; al tramonto, in pieno sole o all’alba evocava sentimenti differenti: calma, sicurezza, ma anche fierezza e orgoglio. Ed è proprio questo, forse, il peccato che si annida nei conflitti: l’orgoglio. Il Signore Dio, nel libro del profeta Ezechiele (Ez 31, 10), usa l’immagine del cedro per esprimere l’orgoglio delle nazioni. E Geremia si avvale di un proverbio ebraico con il quale si soleva apostrofare i presuntuosi. Al capitolo 22 (v.15) nel testo originale, infatti, si legge: «Pensi di essere un re perché fai a gara con il cedro?».

Così il Libano e le sue bellezze, le sue eccellenze, sono parte integrante della simbologia Sacra. Non è forse questa la terra che ha riempito l’universo simbolico del Cantico dei Cantici? Da qui la tradizione cristiana ha attinto le parole per coronare la Vergine Maria: Veni, veni de Libano coronaberis. Proprio la geografia del Libano ha ispirato la fede per contemplare lei, la Tota pulchra, Immacolata come le cime dell’Ermon e del Senir! E le travi di cedro, che nel Cantico formano il tetto della casa degli amanti, altro non sono che le travi del Tempio di Salomone, vero luogo dell’amore fra Dio e l’umanità. Cristo stesso spingendosi fino a Tiro e Sidone fu vinto dalla fede di una donna siro fenicia e la esaudì: «Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia! (cfr Mc 7, 24-30)». Tanto potente fu, sul cuore di Dio, la Parola di quest’antica libanese. Al pensiero di questi e altri infiniti passi della Rivelazione, come accadde a Francesco Saverio, verrebbe da gridare a coloro che hanno più scienza che carità: non disperdete tanta bellezza, non rovinate quella fede che ha generato santi e profeti. Tornate a guardare in alto, verso il candore dell’Ermon e lasciatevi illuminare. Forse ancora, per questa nostra parola di Pace, Dio ci esaudirà. Tanto potente può essere la nostra preghiera sul cuore di Dio!

Vidi, tempo fa, la riproduzione di un murale che, proprio a Tiro, adornava un muro della città: una grossa tartaruga, simbolo del Libano, portava sulla corazza una chiesa, una moschea, un arco romano e un faro; una palma di bellezza e la bandiera libanese con il grande cedro. Il suo colore blu faceva immediatamente pensare alla pace, nuotava lentamente nel grigio mare del muro. Mi appare oggi il simbolo più bello di questa nazione e un grande inno alla pace. Tra occidente, oriente, tra fedi differenti c’è una via di pace. Il volto sereno dell’animale sembrava dirmi: dobbiamo portare con coraggio il peso della storia. Il suo capo si sollevava verso l’alto incitando alla speranza: il cammino sarà lento, ma la forza nascosta nella mistica di quei luoghi santi, alla fine, come la bellezza, ci salverà