Lotta agli abusi / Il sacerdote. Il «guaritore» ferito e umiliato
L’incontro su Chiesa e abusi: parola di sacerdote «Non potendo fare di noi degli umili, Dio fa di noi degli umiliati». Ne era convinto Julien Green. Un’umiliazione che, accolta con dolore e desiderio di cambiare, ci trasformerà in persone umili di cuore. E di umiltà la Chiesa e il mondo hanno tanto bisogno, perché l’umiltà altro non è che l’altra faccia della verità. La persona umile è una persona autentica, vera, trasparente, mite. Oggi la Chiesa cattolica abbassa lo sguardo, arrossisce in volto, si batte il petto, chiede perdono per gli abusi sui minori perpetrati tra le sue mura da consacrati. E corre ai ripari. Certo, ognuno è responsabile della sua condotta morale, civile, penale. Nel Giorno del giudizio il premio o il castigo saranno elargiti singolarmente. Anche la coscienza e il dono dello Spirito che ci fanno desiderare il bene sono donati personalmente. Detto questo, occorre ammettere che ci sono stati peccati di omissione, negligenza, incapacità da parte di molti uomini di Chiesa nel gestire gli abusi e i soprusi perpetrati ai danni dei piccoli. La tentazione di soffocare gli scandali ha portato a minimizzare, nascondere le denunce, le ferite, le lacrime delle vittime. Per anni si è fatto così. Chi è caduto nella trappola degli abusi, invece, merita di essere accolto, compreso, aiutato. Merita fiducia. Mettiamoci in ascolto. Facciamolo col desiderio non di distruggere ma di costruire. Facciamolo senza illuderci che le cose cambieranno dall’oggi al domani. La bacchetta magica non esiste. Esiste, invece, la volontà di cambiare rotta e riprendere il largo. Le regole servono. Papa Francesco ha detto che servono «misure concrete ed efficaci». Servono linee guida e personale specializzato. Servono chiarezza e trasparenza. Serve, soprattutto, un amore grande ai piccoli, che sono i prediletti di Gesù. Questa nobilissima battaglia sarà vinta se tutti, laici, preti, vescovi, cardinali, accettiamo di combatterla. Ognuno secondo le sue capacità, le sue responsabilità, i suoi ruoli. Gli scandali della pedofilia sono particolarmente odiosi e non sempre facili da individuare. Non poche volte ci son voluti anni prima che la vittima venisse allo scoperto. Anni in cui il carnefice ha continuato a fare male. Da soli si può poco. Mai come in questo caso la parola insieme è di fondamentale importanza. E, a ben guardare, questo stare insieme è il comando lasciatoci da Gesù. Unità. Ut unum sint. Gesù ce l’ha chiesto per tanti motivi, non ultimo per la salvaguardia e il benessere dei bambini. Insieme, dunque.
Nella Chiesa e fuori della Chiesa. Insieme. Genitori e figli, nonni e nipotini, medici di famiglia e scuola, parrocchie e seminari. Senza paure, senza reticenze, senza ipocrisie. Esercitare il ministero sacerdotale o episcopale non vuol dire avere l’esclusiva sul discernimento e le decisioni ma fare in modo che tutto il popolo santo di Dio sia coinvolto nelle scelte e nel discernimento dei candidati alla vita consacrata. Vivere in comunione vuol dire tener conto del parere degli altri. La Chiesa oggi si assume le sue responsabilità. Pubblicamente. Davanti al mondo ammette di essere il 'guaritore ferito'. Lo fa con la consapevolezza che il dramma della pedofilia e della pedopornografia è terribilmente più esteso di quanto si voglia o si possa credere. I bambini comprati, venduti, stuprati, tante volte uccisi – sovente neonati – nel mondo sono un popolo che spaventa. I bambini ci sono cari. Tutti i bambini ci sono cari. Tutti i bambini devono essere salvati dalle grinfie dei pedofili. A tutti i bambini dobbiamo arrivare. Il vergognoso abuso sui minori da parte dei consacrati non può, non deve fare da paravento agli abusi consumati su altri bambini al di fuori della Chiesa. Sarebbe un’ingiustizia per i minori abusati nelle proprie case, nelle scuole, nei centri sportivi, nei giardini pubblici, nei Paesi poveri. Sarebbe un dono grande fatto ai pedofili ricchi che «come lupi rapaci vanno in giro cercando chi divorare » tra i poveri. Sarebbe un oscurare l’orrendo mercato della pedopornografia.
Non deve accadere. Non accadrà. Oggi la Chiesa cattolica scrive una pagina nuova del libro della sua storia due volte millenaria. È una pagina drammatica, ma anche zeppa di speranza. Una pagina che fa da spartiacque tra un prima e un dopo. Mai più. Mai più deve accadere che adolescenti problematici, incapaci di gestire le loro emozioni, la loro sessualità, morbosamente attratti dai bambini vengano accolti nei seminari e nei conventi. Mai più deve accadere che, approfittando dello stato sacerdotale o dell’abito religioso, qualcuno possa attentare all’innocenza dei bambini. Aiutiamoci. E, come ci ha chiesto papa Francesco, smettiamola di «accusare, accusare, accusare». Accusare per il gusto di accusare, per il desiderio di vendetta, o, peggio, per camuffare i nostri peccati, le nostre omissioni, i nostri reati, le nostre viltà. Denunciamo, invece, i misfatti di cui veniamo a conoscenza, con parresìa, sofferenza, col desiderio di evitare che il male continui a fare il male. Insieme. Diciamo pane al pane, senza paura, senza soggezione, senza sotterfugi. Ma abbiamo il coraggio anche di dire vino al vino. Con la stessa forza, la stessa costanza, la stessa caparbietà. Denunciamo il male perché non vada a inficiare il bene, proclamiamo dai tetti il bene perché non venga affossato dal male. La Chiesa oggi, sommessamente, canta i lamenti della passione. Con la certezza della risurrezione. Risorgerà. E noi da umiliati torneremo a essere umili.