La polemica. Il gran male del fascismo (e i treni oggi)
Le poco opportune dichiarazioni del presidente del Parlamento europeo Tajani sulle 'cose buone' che il regime fascista avrebbe realizzato, anche per le pronte scuse offerte dallo stesso Tajani, sono una occasione per ragionare su alcuni profili delicati non solo del nostro passato, ma anche del nostro presente.
È però necessaria una premessa: quando parliamo del fascismo, noi italiani parliamo anzitutto di noi stessi, quali che siano le nostre convinzioni politiche. Vi è infatti un solo prodotto politico e istituzionale originale elaborato durante gli ultimi due secoli in questa Penisola: il movimento e il sistema creati da Benito Mussolini. Sistema a suo modo originale, profondamente radicato nella fase storica che l’Italia stava attraversando un secolo fa. Non è un caso che si sia parlato del fascismo come di una 'autobiografia della nazione'. In esso si sono riflessi i limiti della nostra storia precedente (in particolare del Risorgimento) e non è stato affatto – come sosteneva Croce – una parentesi, bensì – come sostenevano gli azionisti – una malattia profonda, dalla quale il Paese non è guarito improvvisamente il 25 luglio 1943 e neppure il 25 aprile 1945.
Non solo: il fascismo è stato negli anni Venti e Trenta del Novecento un prodotto di esportazione e di grande successo internazionale; imitato in Europa centrale, orientale e meridionale e in America Latina, anche molti anni dopo la morte di Mussolini. Di questo dobbiamo essere consapevoli come italiani: e dovrebbero esserne consapevoli soprattutto i nostri politici... Riguardo, poi, alle 'cose buone' del fascismo, è necessaria un’avvertenza, magari un po’ schematica, che distingua fra la valutazione di questa e di quella scelta politica ('buona' o 'cattiva' per dirla in maniera semplicistica) e la legittimitàdi un regime politico. Il giudizio sul fascismo non può non essere radicalmente negativo anzitutto da questo secondo punto di vista, mentre ovvie distinzioni sono necessarie sul primo.
Ora, la questione centrale è la seguente: nessun regime politico che non sia basato sul consenso dei governati, espresso mediante libere elezioni «in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo» – per riprendere il linguaggio dell’art. 3 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – e che non garantisca le libertà dei cittadini può essere ritenuto legittimo, almeno nel nostro tempo e, più in generale, nell’epoca storica segnata dall’avvento del costituzionalismo, cioè dalla fine del Settecento in poi. Ovviamente nel rispetto delle tante varianti che questo schema- base ha sinora conosciuto e del suo graduale e sempre difficile inveramento. In questo senso, il fascismo ha rappresentato un arresto drammatico del percorso di evoluzione civile dell’Italia, iniziato con lo Statuto albertino e ripreso nel 1947 con la Costituzione repubblicana.
Si badi bene: non si è trattato di una dittatura temporanea per esigenze di salus rei publicae( come desideravano che fosse alcuni vecchi liberali, i quali, per questo motivo, non ostacolarono Mussolini, illudendosi di utilizzarlo), ma di un vero e proprio modello alternativo alla democrazia liberale. Quest’ultima, però, è e resta l’unica forma politica legittima per governare uomini e donne liberi. Questa osservazione, però, ne trae subito con sé un’altra.
L’ambiguità del discorso sulle 'cose buone' del fascismo non è infatti un unicum. Ne esistono diverse varianti, applicate ad altri regimi dispotici. È il caso del comunismo. Come non ricordare chi vanta il sistema scolastico e sanitario della Cuba castrista? O l’industrializzazione della Russia e la vittoria su Hitler da parte dell’Urss staliniana? E, più di recente, la spettacolare liberazione dalla miseria di 500 milioni di contadini cinesi da parte del regime comunista-liberista di Pechino? Si tratta di meriti indubbi, forse superiori alle 'cose buone' del fascismo.
Ma si tratta, anche in quel caso, di regimi politici non legittimi, perché non fondati sul consenso conseguito in elezioni libere e competitive e perché liberticidi, sia pure in forme molto diverse da caso a caso (i comunismi sono molti, al apri dei fascismi). Infine, una osservazione che ci porta all’oggi e ad alcune comparazioni con taluni tratti dell’esperienza fascista, spesso raffrontati ai difetti della nostra Repubblica (che, pure è del tutto legittima, per i criteri sopra visti). Sarebbe forse opportuno evitare di identificare col fascismo alcune 'prestazioni' politiche o amministrative di quel regime. La stabilità e l’efficienza di un governo sono un valore, e possono essere conseguite in un contesto liberal-democratico, senza bisogno di sopprimere libertà ed elezioni: lo dimostra, fuori da casa nostra, il fatto che i governi di Kohl e ora anche quello della signora Merkel, sono durati più del periodo hitleriano.
Ma allora la ricerca di un governo stabile (democraticamente legittimato) non può evocare ogni volta lo spirito del Ventennio, con conseguente automatica indignazione. E ciò non può avvenire neppure con l’efficienza ammini-strativa o con altre elementari esigenze di ordine: i treni possono arrivare in orario anche in democrazia.