Opinioni

Il direttore risponde. Il gran «dovere» politico dei cattolici: immischiarsi e ricostruire. Non da soli

Marco Tarquinio mercoledì 26 novembre 2014
Caro direttore,alla lettera del signor Bonafè, pubblicata domenica 23 novembre («All’Italia servono un Patto e l’impegno civile»), manca a mio avviso un elemento per essere perfetta: il richiamo all’aiuto di Dio. «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 126,1): da sé l’uomo non è in grado di costruire nulla di buono e, infatti, l’Italia del dopoguerra ha realizzato il “miracolo economico” quando era guidata da uomini timorati di Dio. Quando poi nel governo si sono inseriti altri, che quel timore non lo avevano, le cose sono cominciate ad andare male, per giungere al disastro attuale. Abbiamo anche ora un capo del governo cattolico, ma non credo egli possa contare sull’aiuto del Signore, visto che s’intruppa coi socialisti europei, che difendono aborto ed eutanasia in dispregio della Legge di Dio. Forse Renzi l’ha fatto per mostrare d’essere di sinistra, ma un cattolico non è di sinistra, né di destra, né di centro: è di Cristo e basta. Poiché la politica, come ricordava il beato Paolo VI, è la più alta forma di carità, ecco che cosa manca all’Italia per poter risalire la china: una guida costituita da un partito autenticamente cristiano, perché solo i cristiani sono capaci di un amore disinteressato e fattivo. Visto il numero degli astenuti alle elezioni regionali di Calabria ed Emilia Romagna, probabilmente di questo sono convinti anche moltissimi elettori. Luciano Motz, TriesteIn realtà, caro dottor Motz, i democratici cristiani che hanno ricostruito l’Italia e avviato il “miracolo economico” che l’ha portata a essere una delle grandi potenze economiche mondiali hanno sempre saputo collaborare con esponenti di altre culture politiche democratiche, di matrice laica e socialista. Accanto ai nomi di Alcide De Gasperi, di Antonio Segni, di Ezio Vanoni, di Amintore Fanfani, di Giulio Andreotti e di Aldo Moro vanno perciò scolpiti quelli di quanti – in fasi diverse – sono stati loro compagni di strada: Giuseppe Saragat, Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Pietro Nenni… Questo, a parere non solo mio, è uno dei tratti distintivi del cattolico impegnato in politica: essere se stesso, cioè portare con coerenza una visione dell’uomo e del mondo che è illuminata dalla fede, ma ricercare costantemente ogni possibile e saggia cooperazione per realizzare il bene comune, trovando percorsi – non sempre facili, ma sempre fecondi – da compiere assieme ad altri uomini e donne animati da una spinta valoriale convergente. Papa Francesco, ieri, nel secondo dei suoi discorsi a Strasburgo, quello davanti all’Assemblea parlamentare che riunisce i rappresentanti dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, ha evocato la «trasversalità» come un tratto emergente , e positivo, della “giovane” politica del Vecchio Continente. Una politica chiamata a misurarsi con il compito di mantenere viva la democrazia dei popoli europei per affrontare al meglio le grandi sfide di un tempo che mette in questione come mai prima la dignità umana minacciata dall’antisolidarismo della «cultura dello scarto», la qualità delle relazioni tra le persone svuotata dalle solitarie vertigini dell’individualismo, i fondamenti stessi della convivenza civile insidiati dalla «cultura dell’indifferenza» e dal dilagare delle solitudini che sono evidentemente strumentali alle strategie dei nuovi «imperi sconosciuti», il Papa chiama così le entità finanziarie «multinazionali, ma non universali» che puntano a imporre al mondo il loro «uniformante potere». È davvero così. Per questo abbiamo seriamente bisogno, anche in Italia, della generosa e lucida «trasversalità» invocata da Francesco. E anch’io ho speranza. Perché credo – voglio credere, non mi rassegno all’idea di non poter credere – che una consapevolezza crescente condurrà sempre più persone in tutti i campi politici (a destra, a sinistra e al centro) a comprendere che oggi più di ieri la resistenza umana a certe mortali derive – come quelle dell’aborto e dell’eutanasia, per stare ai nodi dolenti da lei richiamati – è la base di ogni altra autentica difesa della dignità, della libertà e dello sviluppo integrale dell’uomo e della donna. Con questo, ovviamente, non voglio dire – visto che l’unico politico da lei citato nella sua lettera è il nostro attuale premier – che l’operazione politica condotta in Italia e in Europa dal “giovane” Matteo Renzi sia esente da rischi e avviata senza ombre nella giusta direzione. Anzi, da cronista, registro che nell’area eurosocialista sono tanti coloro che non si rendono ancora conto di come le false libertà e l’egoismo orgoglioso dei diritti capricciosi insidino l’umano e facciamo crescere mercati dove la persona è ridotta a schiava, a prodotto e a merce. Ma registro segni di comprensione – ricorda la lettera al presidente Hollande degli intellettuali e leader storici del Ps francese contro il mercato degli uteri in affitto? – e di ripensamento e ho fiducia che gli occhi limpidi dei più giovani (a destra, a sinistra o al centro) vedano meglio di certe vecchie pupille offuscate o addirittura serrate dall’ideologia o dai tic (che sembrano sorrisi coraggiosi, ma sono ghigni cinici) degli acchiappavoti populisti.Lei, gentile amico, torna anche a proporre il tema del partito – diciamo così – “identitario” dei cattolici italiani. E non voglio evitare il punto. I lettori di “Avvenire” sanno che in politica (altissima forma di carità, e arte del possibile) non escludo nulla a priori, ma sanno pure che non sono affatto convinto che la strada sia quella, anche perché ho imparato che la storia non si ripete mai nello stesso identico modo, soprattutto quando le condizioni di quadro sono sensibilmente mutate. Sono, invece, del tutto persuaso che uno dei problemi più gravi della democrazia italiana sia oggi lo scollamento tra i partiti e larga parte del mondo cattolico impegnato. Lo dico a ragione veduta. E con una battuta: invece che all’«ingerenza» dei cattolici lamentata (a sproposito) da qualcuno, siamo alla loro amara «distanza», al «rigetto», al «disgusto» per la fatica – cito ancora papa Francesco – di «immischiarsi»… Colpa, l’ho scritto più volte, di come la politica è stata fatta negli ultimi vent’anni e di come i cattolici sono stati trattati e “usati” nelle vecchie case di partito. Le stesse case che oggi sono in rovina o in radicale ristrutturazione. Ne sono contento. Ce n’era bisogno, e se e quando non ci si decide a fare ciò che si deve, arriva inesorabilmente la fase delle crepe, delle rotture, dei crolli… E dei traslochi. Ma anche quella della ricostruzione. Il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, dice che siamo come in «un dopoguerra». E rinnova l’invito all’impegno. In un’altra Italia e in un’altra Europa, ma con lo stesso amore, la stessa capacità di dialogo e lo stesso dovere a guidarci. È questo il primo «aiuto» di Dio. Che non ne fa mai mancare altri a chi confida in Lui.