Il giusto calcolo. Servizio civile: dibattito necessario
Sono tra quanti, domenica, hanno applaudito Roberta Pinotti, ministro della Difesa che ha riaperto il dibattito sulla prospettiva di prevedere per i giovani del nostro Paese, uomini e donne, un’esperienza obbligatoria di servizio civile. L’ho applaudita solo idealmente perché non ero a Treviso, tra i quattrocentomila Alpini riuniti per la tradizionale «Adunata nazionale», ma l’ho fatto con convinzione. Sia chiaro: non ci sono verità rivelate da affermare sulla questione «servizio civile universale e obbligatorio», ma c’è una realtà civile con cui misurarsi. E che, purtroppo, è segnata dal progressivo attenuarsi della stretta e preziosa correlazione tra diritti e doveri di cittadinanza. In estrema sintesi, a dodici anni dalla sospensione della leva militare obbligatoria e del servizio civile sostitutivo a seguito di obiezione di coscienza, è soprattutto per questo che è davvero opportuno che si ragioni e si decida su che cosa fare.
Non è un mistero per i lettori di questo giornale che personalmente, e da molti anni, sia favorevole ad aprire davanti ai nostri concittadini più giovani quella che nel marzo di tre anni fa il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, parlando ad alcune centinaia di persone in servizio civile volontario evocò come una «vera palestra del vivere insieme», una «scuola di buone relazioni» dove – aggiunse – «si impara a stare con gli altri, nelle differenze e tra generazioni, come fondamento di quel vivere insieme nella giustizia, nell’equità, nell’aiuto reciproco che sono fondamento della pace». In quel 2014 il cardinale Bagnasco usò una formula che teneva conto della seria riflessione che in diversi ambiti della società italiana coinvolgeva laici e cattolici animati da una stessa passione civile e che aveva portato anche a iniziative parlamentari in materia. Parlò, spiegando di dare voce a un opinione diffusa tra i vescovi italiani, di « servizio civile strutturale e anche obbligatorio», realizzato in modo da essere «aperto a tutti» e per tutti vivibile «nei tempi giusti e corretti».
Il discorso era serio e urgente allora, lo è ancora di più adesso. Certo, più di qualcuno dice che oltre a essere serio è certamente «impopolare». Perché non può piacere l’imposizione di un obbligo, la chiamata ad assolvere un dovere, magari – come ragionavo su queste pagine lo scorso 18 marzo in serrato dialogo con un lettore – anche solo per sei mesi. Non è necessariamente vero. Credo infatti anch’io che tanti giovani italiani, di nascita o di adozione, ragazzi e ragazze, sarebbero prontissimi a entrare in questa palestra di civismo e di solidarietà. Credo che tutti sarebbero in grado di fare la loro parte. E che un buon numero continuerebbe a offrirsi per un servizio civile volontario di più lunga durata. Così come credo che ci saranno ancora giovani uomini e giovani donne che si proporranno per vestire volontariamente le diverse divise militari in un Paese che, grazie alla saggezza dei nostri padri costituenti, solennemente «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (articolo 11 della Costituzione).
Ecco perché è lecito aspettarsi che i signori dei partiti e tutti coloro che siedono in Parlamento si dimostrino finalmente capaci di imbastire un dibattito utile e conclusivo, non le baruffe che si sono viste e sentite nelle ultime trentasei ore. La proposta di un «servizio civile universale e obbligatorio» non è una trovata da comizio, ma un pensiero che non può che sorgere spontaneo nell’Italia di oggi. Sono certo che il ministro Roberta Pinotti, nel condividerlo pubblicamente e con decisione, ha fatto un calcolo per nulla interessato. Guardando a Treviso una generosa, allegra e composta distesa di «penne nere» che rischia però di ingrigire e di assottigliarsi (non per entusiasmo sia chiaro, ma per fatti anagrafici), ha in sostanza detto ad alta voce che è giusta l’idea di "alpini senza fucile" cioè di giovani che vivano in associazioni come l’Ana – che, tra l’altro, è parte fondamentale della struttura di Protezione civile del nostro Paese – un servizio civile formativo, capace di rivestire stabilmente di pace e di rinsaldare e rinnovare straordinarie realtà e tradizioni della nostra gente. Sappiamo bene che non ci sono solo gli Alpini a custodire questi tesori, ma tutti sanno e capiscono che loro lo sanno fare molto bene. È davvero troppo sperare che se ne rendano conto anche coloro che hanno il compito di fare le leggi?