Il gigante fragile. La crisi di sistema in Brasile
Le sagome scure delle acciaierie filtrano dalla finestra del secondo piano. Scure, come la notte della politica brasiliana che, con la sentenza della Corte Suprema, spegne la carriera dell’operaio-presidente e dà il colpo di grazia a un sistema dei partiti già in ginocchio. Dicono che, nella lunga attesa tra mercoledì sera e ieri, mentre aspettava il verdetto dei giudici, Luiz Inacio Lula da Silva si sia soffermato spesso a guardarle.
Come era solito fare anni luce fa, in quel medesimo edificio: la sede del sindacato dei metallurgici di São Bernardo do Campo. Nel municipio satellite di San Paolo – dove c’è un’industria ogni 15 abitanti –, è cominciata l’ascesa dell’operaio dalla mano mutilata. Nelle strade tra la chiesa della Matriz e lo stadio di Vila Euclides, Da Silva ha guidato la protesta dei lavoratori contro gli abusi della dittatura, negli anni Settanta e Ottanta. Prima di entrare in politica, fondando il Partido dos Trabalhadores (Pt), e divenire il presidente più amato del Brasile democratico (2003-2010), con una popolarità a quota 87%. Da allora, però, la storia ha fatto un altro giro e "Lula l’eroe di tutti" s’è trasformato, per una parte dei cittadini, in "Lula il corrotto". Condannato in primo e secondo grado, dopo il rigetto del ricorso davanti al massimo tribunale, per l’ex leader ieri è scattato il mandato di arresto e oggi alle 17 (le 22 in Italia) dovrà costituirsi alla polizia federale.
Nella parabola discendente dell’ex presidente-operaio, si legge, in controluce, la crisi della generazione politica post-dittatura. La democrazia da essa disegnata, a partire dal 1985, arriva malandata alle presidenziali di ottobre. I principali partiti sono stati letteralmente falcidiati dallo scandalo Lava Jato e dal maxi giro di mazzette da quest’ultimo rivelato. A cominciare dal citato Pt. Per arrivare alla formazione che lo ha allontanato dal potere, con la destituzione di Dilma Rousseff nel 2015, il Movimento democrático brasileiro (Mdb).
Solo la blindatura del Parlamento ha salvato l’attuale presidente, Michel Temer, del Mbd appunto, dalla doppia denuncia per corruzione presentata dalla Procura generale. Non sorprende, in questo contesto, la sfiducia generalizzata dei cittadini. E gli scarsi consensi di cui godono gli aspiranti inquilini a Palazzo di Planalto. Da Geraldo Alckmin, governatore dello Stato di San Paolo, probabile rappresentante del centro-destra, allo stesso Temer, fermo al 2%. Nel centro-sinistra non va meglio. Certo, Lula, al momento candidato informale, è in testa ai sondaggi con il 30% dei consensi, grazie alla saudade (nostalgia) per le sue politiche sociali. Le vicissitudini giudiziarie gli renderanno, però, difficile partecipare alla corsa. E il Pt non sembra avere un "piano b" convincente.
L’unico, al momento, a raccogliere un gradimento utile a due cifre – il 20% per cento –, è Jair Bolsonaro, l’anti-politico per antonomasia.
Ex militare e deputato dal 1990, Bolsonaro è un aperto sostenitore della dittatura, del pugno di ferro – tortura inclusa – contro i presunti criminali e delle armi libere. Posizioni inaccettabili per la società brasiliana fino a poco tempo fa. A renderlo ora un punto di riferimento per un quinto dell’elettorato è, però, la sua estraneità al 'sistema', diventato sinonimo di corruzione.
Nell’equazione c’è un fondo di verità. La legge elettorale nazionale costringe il partito vincitore a una serie di alleanze per governare. Il che favorisce – quasi istituzionalizza – lo 'scambio', non sempre lecito, di favori. La rivolta anticorruzione – seguita all’inchiesta Lava Jato ed esacerbata dalla recessione per il crollo dei prezzi internazionali delle materie prime, da cui l’economia brasiliana è ancora troppo dipendente – ha, dunque, assunto i toni di contestazione al sistema. Il problema principale è che, al di là della critica, pur legittima, l’eterogeneo movimento di piazza non è riuscito a produrre alternative.
Finendo con il lasciarsi sedurre dagli slogan populisti. La crisi della politica rischia così di trasformarsi in una crisi della democrazia. Facendo emergere vecchi fantasmi del passato recente. Alla vigilia della riunione della Corte Suprema, i vertici delle Forze armate hanno inviato velate minacce ai giudici circa «conseguenze» in caso di «impunità».
La tentazione del pretorianesimo, cioè delle interferenze dei militari nella politica, ha segnato la storia, anche recente, del Gigante del Sud e dell’America Latina. Se esso sia ormai un capitolo chiuso, dipenderà da come la democrazia brasiliana saprà affrontare la sua prima crisi di sistema.