Inchiesta. Caccia alla balena Tokyo riparte: «È nostro diritto»
L’accusa ai 'proibizionisti': «Non inventatevi i numeri a casaccio, come fanno quelli di Greenpeace. Siamo noi che dovremmo chiedervi i danni, per lo stato in cui avete sinora ridotto il pianeta» Una balena appena catturata su una nave giapponese nel porto di Kushiro, nel primo giorno di caccia, lo scorso primo luglio
«L’Occidente deve farla finita di imporre i suoi valori: finché si tratta di diritti umani, libertà civili e cose del genere io personalmente posso anche condividerli. Ma il mio menù, quello che mangio a casa mia, vorrei deciderlo io. Voi per condire usate olio e limone. Noi soia, sesamo e wasabi. Voi mangiate i conigli. I cinesi i cani. Noi le balene. E allora?» Un bell’inizio. Benché sia oramai in pensione, Masayuki Komatsu è ancora sulla breccia. Per anni irriducibile capo-negoziatore del Giappone nella IWC (Commissione baleniera internazionale, dalla quale il Giappone è uscito l’anno scorso), noto per l’insolita capacità di esprimere con cruda quanto indubbia efficacia le proprie posizioni («contatele le balene, come facciamo da sempre noi giapponesi, non inventatevi i numeri a casaccio, come fanno quelli di Greenpeace», oppure: «dovete spiegarmi perché la mattanza dei tonni va bene e uccidere le balene no: perché i primi sono stupidi e le seconde intelligenti?»), oggi Komatsu dirige un centro studi per la 'sostenibilità della pesca'.
Uno dei più recenti rapporti pubblicati dal suo istituto sostiene che la caccia 'selettiva' alle balene sia non solo possibile, ma necessaria per salvaguardare l’eco sistema degli oceani. «Non è vero che le balene siano in via di estinzione – spiega Komatsu, che in passato ha anche vissuto in Italia, come delegato giapponese alla Fao – su un’ottantina di specie, solo 8 sono davvero a rischio, e noi non le abbiamo mai cacciate. Il disastro lo avete provocato voi occidentali, soprattutto gli americani, nel secolo scorso, quando le balene le massacravano indiscriminatamente per ricavarne il grasso. Noi no, per noi la caccia alle balene è un’antica tradizione, risale all’ottavo secolo, mai ucciso le balene a casaccio, sempre dopo attente ricerche e selezione».
Lo incontriamo, dopo tanti anni, a Shibuya, uno dei centri di Tokyo, di fronte al famoso/famigerato ristorante 'Kujira' (la Balena). Uno dei pochi oramai rimasti, specializzato in piatti a base di carne di balena e altri cetacei, ma che ha deciso di chiudere. Sì, perché i giapponesi non è che vadano poi così ghiotti di queste pietanze: nel 1970 si consumavano ancora oltre 200mila tonnellate di carne di cetaceo, l’anno scorso 'appena' 3 mila. La questione non è più gastronomicoculturale: è diventata politica, ideologica. In questi giorni si festeggia l’arrivo delle prime balene 'fresche': dal primo luglio il Giappone – che l’anno scorso ha polemicamente abbandonato la IWC – ha infatti ripreso ufficialmente la caccia per scopi commerciali. In realtà, in virtù di deroghe faticosamente conquistate grazie al voto di nazioni 'amiche', il Giappone non si era mai fermato. Ogni anno era infatti autorizzato a catturare (e poi macellare) un certo numero di balene, per «scopi di ricerca scientifici». L’anno scorso, ne aveva catturate 333. Ma tutte appartenenti a specie non a rischio di estinzione: balenottere minori (rostrate), balena boreale, balena di Bryde. «Nessuna nave giapponese si permetterebbe di uccidere una balenottera azzurra – afferma Komatsu – sono i norvegesi e gli islandesi i veri pirati del mare».
Davanti al ristorante si sono radunate un po’ di persone, ci sono cartelli, un megafono, qualche slogan: 'Occidente arrogante, il Giappone ama le ba- lene', 'Viva il Giappone'. Più che clienti in attesa di una cena gourmet – il ristorante è sempre semivuoto, anche perché i prezzi sono altissimi – si tratta però dei soliti nazionalisti che ogni tanto si radunano per inveire contro l’occidentalizzazione del Paese e la perdita dei valori tradizionali. Komatsu, che è persona intelligente, ammette: «È vero, oramai questa delle balene è una battaglia strumentalizzata dai nazionalisti, dall’estrema destra. Ed è un peccato, perché dovrebbe essere una battaglia condivisa, appoggiata dalle nostre istituzioni e condotta su basi culturali e scientifiche, non ideologiche». Non ha tutti i torti. In Giappone, quando si proietta il sempre popolare film su Moby Dick il pubblico ha una reazione diversa dal resto del mondo. Quando Moby Dick azzanna il capitano Achab, la gente applaude. Tifano per la balena. Ovunque, nei villaggi dediti tradizionalmente a questa attività, ci sono statue, monumenti, persino piccoli templi dedicati alle balene, che con il loro (peraltro involontario...) sacrificio hanno per secoli sfamato la gente.
Contrariamente a quanto si pensi, il governo giapponese ha invece da tempo abbandonato i 'balenieri'. Se nel passato la hogei (caccia alle balene) era una industria fiorente, oggi gli addetti sono poche centinaia. Resta il fatto che non ci fate una bella figura, insisto: il mondo vi considera dei barbari assassini, un po’ come i cinesi che mangiano i cani... «Ecco, questo è il vero problema, questa immagine distorta che vi siete fatta di noi: ma come vi permettete, dopo tutti i danni che per secoli avete provocato all’ambiente, di darci lezioni? La vostra presa di coscienza ecologica è un fatto recente. Avete distrutto boschi e foreste, saccheggiato e inquinato i mari, avvelenato milioni di ettari di terre e ora venite a fare la predica a noi? Siamo noi che dovremmo chiedervi i danni, per lo stato in cui avete sinora ridotto il pianeta».
È un fiume in piena, Komatsu, impossibile fermarlo. Racconta di quando, mentre viveva a Roma, passò giorni e giorni a consolare la figlia adolescente, che passando per il mercato di Ponte Milvio aveva visto un macellaio tirar fuori dalla gabbia un coniglio, ammazzarlo con una botta in testa e poi scuoiarlo, tenendolo per le zampe posteriori. «Pianse per una settimana, non voleva più andare a scuola – ricorda Komatsu – da noi i conigli sono animali domestici, mia figlia pensa ancora che i barbari siate voi».