Il Nobel per l’Economia. Il genio femminile combatte la povertà con le relazioni
Il Nobel per l’Economia 2019 assegnato a Esther Duflo, Abhijit Banerjee e Michael Kremer è davvero una bellissima notizia, e per molte ragioni. La prima buona notizia è che Esther Duflo (classe 1972) è una donna, ed è la più giovane persona ad aver vinto il Nobel per l’Economia.
Poi è la moglie di Abhijit Banerjee, premiato con lei. La Duflo, nata e cresciuta a Parigi (la Francia, diversamente dall’Italia, continua ad essere una Paese di riferimento per la scienza economica), oggi insegna insieme a suo marito al MIT, mentre Kremer insegna ad Harvard. Dei tre la Duflo era quella già più nota e in odore di Nobel, anche per la sua straordinaria e precoce carriera (aveva già vinto il 'Nobel' per i giovani economisti, la Clark Medal), e da anni era un punto di riferimento per chi si occupa di povertà e sviluppo. È la seconda donna a ricevere il Nobel in Economia, dieci anni dopo Elinor Ostrom, che fu premiata per i suoi lavori pionieristici sui beni comuni. Queste due economiste hanno molto in comune.
Povertà (Duflo) e beni comuni (Ostrom) hanno a che fare con persone concrete, con relazioni sociali e con la lotta a forme di povertà (anche la distruzione dei beni comuni, come l’ambiente, è un’alta forma di povertà). Entrambe hanno colto che nella riduzione delle povertà e nella salvaguardia dei beni comuni i beni cruciali sono i beni relazionali. Economia è sostantivo di genere femminile. La gestione della casa ( oikos nomos) è diversa se vista da un maschio o da una femmina. Spesso i maschi vedono cose (redditi, beni, investimenti), le donne vedono relazioni, vedono il dettaglio, le piccole soluzioni possibili qui ed ora, quelle decisive per il benessere vero della gente.
Infatti, al di là delle importanti innovazioni tecniche e scientifiche dei tre economisti premiati (tra cui l’applicazione allo studio delle politiche di lotta povertà e di promozione dell’istruzione tra i bambini dei Paesi in via di sviluppo del metodo sperimentale e dell’analisi controfattuale tipica degli studi sulla salute, i cosiddetti Randomized Controlled Trials), il lavoro della Duflo e colleghi ci ha insegnato molte cose sulle povertà che, purtroppo, sono ancora in massima parte sconosciute a chi si occupa di politiche pubbliche. Innanzitutto ci hanno detto che la lotta alla miseria e all’esclusione per aver successo richiede la politica dei piccoli passi. Mentre le politiche tradizionali di sviluppo erano in questi anni concentrate sulla cooperazione internazionale, sui grandi capitali e sugli investimenti infrastrutturali, la Duflo e colleghi cercavano, sul campo e con pazienza, di convincere le Ong e i capi-villaggio dell’importanza di investire due euro per acquistare una zanzariera, e che quei due ero salvavano dalla malaria qui ed ora (soprattutto i bambini), mentre i governi non facevano le bonifiche e le aziende farmaceutiche continuavano a non offrire soluzioni economicamente accessibili.
La strategia dei piccoli passi è donna – perché sono concretezza, sono parte del buon senso di chi gestisce giorno dopo giorno una casa vera non di carta. Inoltre, ci hanno insegnato che la povertà non è una faccenda di flussi ma di stock; si manifesta con carenza di redditi ma la sua natura vera è una carenza di beni capitali – sociali, educativi, sanitari, familiari... Quindi curare le povertà lavorando sui redditi senza curare i capitali delle persone e delle comunità (i capitali sono quasi sempre imprese collettive) è inefficace e spesso aumenta quelle povertà che vorrebbe ridurre. Infine, soprattutto la Duflo, ci ha in questi anni più volte ricordato che la povertà è soprattutto una questione che riguarda i bambini (da qui la sua attenzione alla scuola) e le donne. I poveri sono in massima parte bambine e donne.
Non è possibile oggi occuparsi di povertà senza occuparsi, direttamente e prioritariamente, di donne e, ancor più, di madri. Questo Nobel dato a chi lavora per ridurre le povertà concrete della gente concreta (che si ricollega a quello assegnato nel 1998 all’altro economista indiano Amartya Sen) è anche una speranza per la professione dell’economista. L’economista è soprattutto qualcuno che lavora per ridurre le povertà e quindi il dolore del mondo.
Questo lo sapevano molto bene gli economisti classici, che quando ponevano al centro della loro riflessione il lavoro, la ricchezza, lo sviluppo, lo facevano perché lo vedevano come il primo mezzo per ridurre le povertà e le sofferenze della gente. Scriveva ad esempio Alfred Marshall nel 1890: «È vero che persino un uomo povero può raggiungere nella religione, negli affetti famigliari e nell’amicizia la felicità più alta. Ma le condizioni che caratterizzano la povertà estrema tendono ad uccidere questa felicità». La leggi della ricchezza vanno studiate per ridurre le povertà e la sofferenza.
Un’ultima nota. Questo Nobel per l’Economia dato ad una donna, ad una giovane, agli studi sulla povertà è un ottimo auspicio per l’iniziativa voluta in Assisi da Papa Francesco per Marzo 2020: 'The Economy of Francesco'. Economia e povertà non è un ossimoro, ma è richiamare l’economia alla sua radice e alla sua vocazione. Assisi potrà poi aiutare l’economia e gli economisti a distinguere tra povertà e miseria. Perché mentre miseria ed esclusione sono parole cattive e sempre negative, la povertà è anche una parola del Vangelo, e conosce una declinazione positiva, che è la beatitudine che essa riserva a chi – come Francesco – la sceglie per liberare gli altri che non l’hanno scelta ma solo subita.
E come ci ricordava un altro grande autore e maestro di povertà, M. Rahnema, occorre sconfiggere la miseria per mettere le persone nelle condizioni di poter liberamente scegliere la povertà; perché quando si è troppo 'miseri' non è possibile scegliere la povertà. E perché senza conoscere e stimare i valori che alcune forme di povertà conoscono e vivono, non è possibile sconfiggere davvero le povertà sbagliate.
Lumsa; Supsi Lugano