Opinioni

Analisi. Il gas segreto di Gaza che fa gola a tutti e può salvare la Palestina

Alessandro Bonini sabato 27 luglio 2024

Un giacimento di gas al largo di Cipro

Nella Striscia di Gaza esiste una sola centrale elettrica, alimentata dal gasolio proveniente da Israele, il cui flusso è stato già interrotto nel momento più buio, letteralmente, della guerra che negli ultimi mesi ha flagellato il Medio Oriente. Ma anche in tempi normali, per così dire, la corrente non basta mai. Nella Striscia è infatti in corso una crisi energetica che da anni vede elettricità razionata e garantita solo per poche ore al giorno, sulla base di un programma di blackout a rotazione che la dice lunga sulla rassegnazione di questo popolo a vivere schiacciato dalle tensioni geopolitiche ai margini della civiltà. Eppure, la Striscia di Gaza è “seduta” su uno dei più grandi giacimenti di gas naturale del mondo e in grado di soddisfare, se sviluppato, le esigenze energetiche dei Territori palestinesi per diversi decenni.

Più precisamente, il giacimento di gas denominato Gaza Marine è un campo sottomarino situato a circa 36 chilometri dalla costa di Gaza. Scoperto nel 1999 dalla British Gas, è considerato uno dei principali giacimenti di gas naturale non sfruttati nel Mediterraneo orientale. Le sue riserve sono stimate in circa 1 trilione di piedi cubici (circa 28 miliardi di metri cubi), una quantità significativa che potrebbe trasformare la vita di milioni di palestinesi, al punto di rendere questa terra martoriata un grande produttore di energia. Inutile dire che la storia di questo giacimento è costellata di controversie e rivendicazioni territoriali, e che è stata spesso associata più o meno liberamente alle motivazioni che vedono continuamente fronteggiarsi israeliani e palestinesi, con il rischio di derubricarla a una mera “guerra del gas”.

Vero è che le motivazioni economiche di un conflitto non possono essere trascurate. E che le riserve stimate di Gaza Marine rappresentano un vero e tesoro. Lo sviluppo del giacimento potrebbe garantire l'autonomia energetica dei Territori palestinesi, fornendo una fonte stabile e interna di energia, riducendo la dipendenza da costose (e spesso impraticabili, come si è visto in questi mesi) importazioni di carburante. Lo sviluppo e lo sfruttamento di Gaza Marine consentirebbe inoltre di creare numerosi posti di lavoro, stimolando settori correlati all'industria del petrolio e gas, come la costruzione, la manutenzione e il trasporto. Ma soprattutto la produzione di energia moltiplicherebbe le entrate che potrebbero essere utilizzate per migliorare infrastrutture e servizi pubblici. Una licenza è stata recentemente attribuita al Fondo per gli Investimenti Palestinesi (Palestine Investment Fund, Pif), un veicolo di investimento sovrano, e alla società italiana Eni.

L'aggiudicazione, che è avvenuta da parte di Israele, è stata tuttavia contestata da alcuni gruppi di attivisti filo-palestinesi, rappresentati da uno studio americano. La vicenda è finita anche al centro di un'interrogazione parlamentare. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, rispondendo, ha chiarito che “da quanto riferisce Eni il contratto è ancora in via di finalizzazione e il consorzio non ha titolarità sull’area, né sono in corso operazioni che avrebbero comunque natura esplorativa. Non è al momento in corso alcuno sfruttamento di risorse”. Il fatto di appoggiarsi a un partner internazionale è una consuetudine in quanto per questo tipo di operazione servono esperienza e tecnologia (oltre a investimenti, nel caso di Gaza MArine stimati in almeno 1,4 miliardi di dollari).

La scelta di Eni non si inserirebbe soltanto nel quadro delle relazioni internazionali, ma risponderebbe anche a una logica industriale, in quanto il gruppo del Cane a sei zampe ha già scoperto e sfruttato rapidamente e con successo, nella stessa zona del Mediterraneo orientale, il mega giacimento di Zohr, davanti alle coste egiziane. Del resto ,le trattative per sviluppare Gaza Marine sono in corso da diversi anni, ma sono state spesso interrotte o ritardate a causa della complessa situazione geopolitica della regione. Eppure, anche da un punto di vista geopolitico, lo sviluppo di Gaza Marine porterebbe diversi vantaggi. Un progetto economico congiunto potrebbe infatti promuovere la cooperazione fra le parti in conflitto e ridurre le ostilità, oggi più che mai accentuate. Inoltre, il miglioramento della situazione economica dei territori palestinesi potrebbe allentare la tensione e contribuire alla stabilità regionale. Il gas estratto potrebbe anche essere esportato a beneficio anche di altri Paesi della regione.

Hamas, il movimento radicale islamico che governa la Striscia di Gaza, ha espresso un interesse cauto nello sviluppo del giacimento. Se da una parte i suoi leader vedono il potenziale economico, dall'altra temono che gli accordi con Israele possano compromettere la loro posizione politica e il loro progetto. Inoltre, Hamas ha insistito sulla necessità che qualsiasi accordo garantisca benefici diretti e sostanziali per la popolazione di Gaza. Da parte sua, il governo israeliano ha una posizione ambivalente sullo sviluppo di Gaza Marine. Da un lato, riconosce i potenziali benefici di sicurezza derivanti da una maggiore stabilità economica nei territori palestinesi. Dall'altro, vi sono preoccupazioni sulla possibilità che i proventi del gas possano essere utilizzati da Hamas per finanziare attività militari.

Non sarebbe la prima volta che il movimento islamico viene accusato di dirottare fondi per finanziare attività militari e per la costruzione di infrastrutture belliche. Il caso più eclatante è la rete di tunnel sotterranei in acciaio e cemento che avrebbe raggiunto una lunghezza di 720 chilometri e che secondo Israele rappresenta la prima minaccia alla sua sicurezza. Negli ultimi decenni, Gaza ha ricevuto un fiume di denaro da diverse fonti internazionali, ma secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, la povertà affligge ancora il 70% della popolazione. Gli aiuti provengono principalmente da agenzie Onu come l'Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Profughi Palestinesi) che vede gli Stati Uniti fra i suoi principali donatori ed è focalizzata su istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali.

Ma anche l'Unione europea ha contribuito con centinaia di milioni di euro per progetti umanitari e di sviluppo, mentre Paesi del Golfo come Qatar e Arabia Saudita hanno donato miliardi di dollari per la ricostruzione e l'assistenza umanitaria. Inoltre numerose Ong internazionali operano a Gaza, fornendo vari tipi di assistenza. Secondo alcune stime, Gaza ha ricevuto oltre 30 miliardi di dollari in aiuti internazionali negli ultimi decenni. Solo l'Unrwa ha gestito bilanci annuali di centinaia di milioni di dollari per i programmi nella Striscia di Gaza.

In ogni caso, il giacimento di gas Gaza Marine rappresenta un asso nella manica per i Territori palestinesi. Ma il suo sviluppo è strettamente legato alla complessa situazione politica e di sicurezza della regione, e alle posizioni dure e inconciliabili da parte di Hamas e del governo israeliano, ora sfociate negli orrori di una sanguinosa guerra. Solo il buon esito delle recenti trattative potrebbe sbloccare questo potenziale e contribuire ad alleviare le sofferenze della popolazione.