Guerra e nuovi equilibri globali. Il futuro dell’Africa
L’anniversario della nascita dell’Organizzazione dell’Unità Africana (Oua), fondata il 25 maggio 1963 ad Addis Abeba e divenuta dal 2002 Unione Africana (Ua), rappresenta l’occasione privilegiata per riflettere sull’importanza del nostro partenariato con un continente, quanto a dimensioni tre volte l’Europa, di cui valorizzare la varietà, la ricchezza storica, artistica, culturale e politica. La posta in gioco è alta se si considera il posizionamento dell’Africa nel nuovo contesto geopolitico e geoeconomico internazionale.
A questo proposito vi è un nuovo concetto in ascesa, quello del cosiddetto Global South (Sud Globale), che ha il merito di dar conto del fatto che molti Paesi in Africa, ma anche in Asia e in America Latina, si trovano a dover scegliere, a seguito della crisi russo-ucraina, tra le economie avanzate occidentali e i suoi antagonisti, sperando di guadagnare spazi di iniziativa e influenza regionale. In effetti, una delle grandi preoccupazioni che assillano i principali decisori politici africani è quella di evitare, nei limiti del possibile, di finire invischiati nelle contese tra i principali attori internazionali.
Il vero problema da affrontare in sede internazionale riguarda certamente la redistribuzione del potere che implica la ricerca, a livello politico, di quei meccanismi che possano determinare una modificazione del tessuto multilaterale rispetto agli equilibri emergenti. La vera sfida sta proprio nel superamento del carattere fortemente competitivo tra gli attori internazionali che già in passato, con la fine della Guerra fredda, era stata la causa principale del disallineamento dei poteri, così come si erano poi delineati nello scorso decennio con il primato occidentale e la gerarchia emergente, quella dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che tende ad espandere la propria area d’influenza.
Ma è proprio su questo versante, fortemente dialettico, che si gioca la partita del futuro, evitando di assecondare la radicalizzazione del confronto. D’altronde, le frizioni Est-Ovest hanno acutizzato, con declinazioni diverse, anche in Africa, la polarizzazione e le perturbazioni, portando all’inflazione, all’aumento dei tassi d’interesse, al rischio di recessione e al crescente aumento dell’esclusione sociale.
Sta di fatto che persistono le politiche predatorie da parte di potentati stranieri di vario genere. Oltre alle ex potenze coloniali, oggi esercitano un’azione invasiva gli interessi cinesi, russi, statunitensi, turchi, dei Paesi del Golfo. Inoltre, pesano sia la fragilità dei sistemi di governo locali, come anche la limitatezza di strumenti finanziari. A questo riguardo gli analisti ritengono che lo sviluppo del continente africano debba passare attraverso l’apporto del credito internazionale, nonché di un’ampia politica di ristrutturazione dei debiti sovrani di interi Paesi.
Si tratta di temi importanti che non possono prescindere dalla cosiddetta economia sommersa. Ogni anno quasi 90 miliardi di dollari, equivalenti a poco meno del 4% del Prodotto interno lordo africano, viene trafugato sotto forma di flussi finanziari illeciti (Iff), vale a dire movimenti illegali di denaro e beni attraverso le frontiere che risultano, alla prova dei fatti, illegali nella fonte, nel trasferimento o nell’uso del denaro. Se a tutto ciò aggiungiamo i devastanti effetti del global warming, il continente rischia la marginalizzazione.
L’unico vero antidoto è rappresentato dalla sua capacità di creare un’effettiva sinergia tra i Paesi della Ua che, proprio quest’anno, celebra i suoi 60 anni dalla fondazione del suo predecessore, l’Oua. A questo proposito è bene rammentare che durante la conferenza inaugurale del 1963 ad Addis Abeba, il presidente ghanese Kwame Nkrumah dichiarò che «nessuno Stato africano indipendente oggi da solo ha la possibilità di seguire un corso indipendente di sviluppo economico». Parole ancora oggi attuali e veritiere che esigono da parte delle classi dirigenti africane una decisa assunzione di responsabilità. Tutto questo in un continente dove l’età media è di 20 anni e i giovani invocano l’agognato riscatto.