La tentazione di ridurla a un fatto puramente muscolare potrebbe sembrare irresistibile. Soprattutto pensando ai numeri che, come è sempre successo in passato, a consuntivo hanno finito per sgretolare ogni previsione. Ma ridurre a questo, anche con le migliori intenzioni, la Giornata mondiale della Gioventù, più ancora che ingiusto, sarebbe come chiuderla in una sorta di scatola vuota, quasi fosse un evento alla stregua di un grande concerto, un happening, una “Woodstock cattolica” come, talora, è stata chiamata.Tutto quello che, insomma, questa «grande intuizione» di Papa Wojtyla, come Benedetto XVI l’ha definita, questa «cascata di luce», non è mai stata. E se mai qualcuno avesse dei dubbi residui in proposito, questi giorni a Madrid, dovrebbero essere stati sufficienti, a guardarli al di là della semplice superficie, a cacciarli. Perché Madrid ha reso evidente come l’idea di Giovanni Paolo II, all’inizio guardata con scetticismo, sarcastico quando non rassegnato, perfino all’interno della stessa Chiesa, sia cresciuta, e diventata “adulta”. E quello che sembrava uno scatto in avanti troppo ambizioso, troppo grande, troppo emotivo, è oggi una realtà matura e consapevole, matrice di e in una Chiesa che riesce straordinariamente a rinnovarsi negli anni, a trovare le chiavi per dar senso a un presente capace di guardare e costruire il futuro. Sono tanti i segni di questa crescita, basta cercarli e, soprattutto, saperli riconoscere. Sono i tanti ragazzi di Buenos Aires, Manila, Denver, Parigi, Toronto che oggi sono qui a fare servizio come volontari, o che oggi, magari con i figli sulle spalle, guidano i nuovi gruppi di giovani. Sono quelle coppie – non una, diverse – venute qui in viaggio di nozze, o quelle che hanno scelto di sposarsi proprio qui, in Spagna, al centro di questi indimenticabili giorni. Sono i madrileni che offrono ospitalità, acqua, aiuti di ogni tipo alle frotte accaldate che marciano verso il grande spiazzo dell’aeroporto per la veglia di questa sera.E lo sono, anche e in un modo inequivocabile, i segni nuovi che Benedetto XVI ha voluto introdurre in questa Gmg del 2011, incontrando le giovani religiose e i seminaristi, e poi i giovani docenti universitari, e poi ancora dedicando una parte della mattina a confessare personalmente quattro giovani pellegrini. Tutti segni che rivelano come la cascata di luce che Karol Wojtyla ha regalato alla Chiesa sia diventata movimento che cammina dentro ogni chiesa e oggi, più ancora, vera e propria pedagogia. E non solo pedagogia della fede, per dare «visibilità alla presenza di Dio nel mondo» e creare così «il coraggio di essere credente», come ha detto Papa Ratzinger. Perché nell’esigenza della proposta, in quel non fare nessuno sconto sul quanto possa essere ardua la “via stretta” che Cristo indica a chi voglia seguirlo, c’è una grande lezione su come la nostra società – non solo italiana – possa uscire dalle sabbie mobili di un’emergenza educativa che ne sta ingoiando il futuro. Perché, alla fine, in questo insistito dare fiducia ai giovani, nel credere nelle loro capacità di affrontare difficoltà e sacrifici, di affrontare la sfida di una domanda di senso, c’è la convinzione che gli ideali “alti” danno sempre frutti.Nessuno si illude che il popolo di Madrid è fatto tutto dai cristiani di domani. Neppure il Papa: le Gmg, ha detto, sono una «seminagione» e «certamente molto si perde». Ma «in silenzio cresce tanto». Come tanto è già cresciuto, in quasi venticinque anni, diventando un frutto maturo.