Opinioni

La conferma dei dati Istat sulla povertà. Il fisco resta sordo al grido delle famiglie

Giancarlo Blangiardo giovedì 23 aprile 2009
Si avvicina inesorabilmente la scadenza della dichiarazione dei redditi. Le famiglie si ritrovano a fare i conti col fisco, a calcolare le spese da detrarre, a localizzare gli eventuali bonus. E a interpretare le contorte alchimie con le quali si vorrebbe, almeno nelle intenzioni, realizzare il nobile obiettivo dell’equità nella contribuzione. Ma questo obiettivo trova effettivo riscontro nella realtà? Ci limitiamo a considerare – riferendoci al rapporto Istat sulla povertà assoluta presentato ieri – due elementi che fanno riflettere sul persistente divario tra le intenzioni e i fatti. Il primo riguarda il bonus straordinario concesso al contribuente in una misura che varia da un minimo di 200 euro per i pensionati soli con meno di 15mila euro di reddito annuo, a un massimo di 1.000 per i nuclei con più di cinque componenti e meno di 22mila euro annui di reddito familiare. Ebbene, le nuove risultanze Istat mostrano come tale misura, pensata per aiutare i meno abbienti, si rivela in parte distorta rispetto a una più attenta ricognizione dei bisognosi. Ci si riferisce non tanto all’aver scoperto che il bonus viene attribuito anche al pensionato solo che ha meno di 15 mila euro di reddito ma comunque ne ha più dei circa 8.300 che, secondo le valutazioni Istat, identificherebbero la sua soglia di caduta in povertà; quanto piuttosto all’aver rilevato la mancata attribuzione del beneficio fiscale ad alcune tipologie di famiglie 'numerose' che, secondo i parametri dell’Istat, sono legittimamente etichettabili come 'povere'. Basti pensare come, ad esempio, il bonus di 600 euro riconosciuto alle famiglie di 5 componenti abbia come limite di assegnazione un reddito familiare di 20mila euro, là dove il confine Istat che segna la caduta in povertà per tale tipo di famiglia è di poco oltre i 21mila. In altri termini, una coppia con tre figli e un reddito di 21mila euro, 'povera' secondo i parametri Istat, non lo è secondo le regole stabilite per il bonus fiscale. Ciò testimonia la persistente scarsa sensibilità verso le coppie con figli. Una seconda conferma al riguardo viene dal confronto tra il costo 'minimale (necessario)' di un figlio per una famiglia ai limiti della povertà, secondo i criteri Istat, e il valore della corrispondente detrazione fiscale riconosciuta per i figli a carico. Tale costo varia infatti da un minimo di 1.068 euro per un figlio in età 0-3 anni che vive in un piccolo Comune del Mezzogiorno, a un massimo di 3.204 per uno di 11-17 anni in una metropoli del Nord. A fronte di ciò, la detrazione riconosciuta dal fisco – destinata altresì a ridursi al crescere del reddito del genitore – è di 800 euro per ogni figlio, elevata a 900 euro per i minori di 3 anni. Poco importa che i costi oggettivamente stimati siano, persino per le famiglie ai limiti dell’indigenza, di gran lunga superiori e che, peraltro, tali costi siano variabili in funzione dell’età dei figli in modo ben diverso da come riconosciuto dal fisco stesso: rispetto a un figlio in età 0-3 (per il quale la detrazione fiscale è accresciuta di 100 euro) uno in età 4­10 anni costa alla famiglia circa il 70% in più e per uno in età 11-17 il costo sale al doppio. Non solo: la detrazione fiscale non tiene minimamente conto del contesto urbano e territoriale. Eppure, sempre dai dati Istat, emerge chiaramente come, rispetto al Sud, i costi dei figli siano del 20% superiori nel Centro e del 30% al Nord. Inoltre la famiglia che vive in un’area metropolitana sostiene un costo dei figli dal 30 al 50% superiore rispetto a chi vive nei piccoli centri. In conclusione, i nuovi dati Istat evidenziano come l’approccio del fisco per la compensazione del costo dei figli sostenuto dalle famiglie segua logiche che poco hanno a che fare con il principio dell’equità. Questo sia per voler tener fede a un principio egualitario che ignora l’esistenza di contesti profondamente diversi (Nord-Sud, metropoli-piccoli centri), sia per voler mantenere in vita una logica di proporzionalità (gli 800-900 euro a figlio) che ignora un’incontestabile evidenza empirica: l’incidenza della povertà in presenza di figli segue una logica di tipo esponenziale. E i dati Istat, casomai ce ne fosse bisogno, lo ribadiscono: se ogni 100 coppie con un figlio sono 2,6 quelle sotto la soglia di povertà assoluta, il corrispondente valore sale a 3,3 tra quelle con due figli e s’impenna a 8 tra quelle che, audacemente, ne hanno tre o più. Non sarebbe dunque ora di attribuire a queste ultime, al di là dell’attestato di 'benemerite' del ricambio generazionale, un riconoscimento fiscalmente più tangibile?