L'analisi. Il doppio voto in autunno non risolleverà il Giappone
Il partito liberaldemocratico si consulta per nominare il nuovo premier. A novembre le elezioni per il rinnovo del Parlamento. Ma pochi i segni di novità nella classe politica
L'ex ministro degli Esteri Fumio Kishida ha vinto oggi le elezioni per la leadership del partito di governo in Giappone ed è destinato a diventare il prossimo primo ministro. Kishida ha battuto Taro Kono, il ministro delle vaccinazioni, al ballottaggio dopo aver superato al primo turno due candidate donne Sanae Takaichi e Seiko Noda. L'elezione del nuovo primo ministro è attesa lunedì 4 ottobre in Parlamento, dove il suo partito e il partner di coalizione hanno la maggioranza.
C’era una volta il Giappone. Ricordate? Un Paese risorto a tempo di record dalle ceneri della guerra, lanciatosi all’inseguimento – superandole una dopo l’altra – delle grandi potenze europee e convinto di poter addirittura sorpassare gli Stati Uniti. I suoi prodotti, auto, moto, apparecchi elettronici, avevano invaso – e a pieno titolo – il mondo intero. I suoi gadget, dal Walkman al Tamagochi sono entrati nella storia del design, oltre che in centinaia di milioni di case. Poi il declino, lento, ma inesorabile. L’esplosione della 'bolla' negli anni ’80, il cosiddetto 'ventennio perduto', la crisi economica e sociale solo in parte importata dall’estero. La fine del vecchio, da tutti invidiato (senza in realtà conoscerne a fondo i limiti e soprattutto i costi sociali) nenkojo-resseido, il cosiddetto sistema che garantiva piena occupazione e impiego a vita, in cambio di fedeltà assoluta e docilità sindacale.
Un 'paradiso', ammesso che tale sia mai stato, perduto. Oggi l’immagine che ci trasmette il Giappone è quella dell’oramai ex premier Yasuhide Suga, «l’uomo che non sorride mai», costretto a dimettersi dopo appena un anno, che incede tristemente verso il palco delle Nazioni Unite in un’aula semivuota, e che segue, a debita distanza, Biden, Morrison (Australia) e Modi (India) in occasione del primo vertice 'in presenza' del Quad, la cosiddetta Nato d’Oriente. Un Paese che ha il debito pubblico più alto del mondo industrializzato (oltre il doppio dell’Italia, anche se – come quello cinese – è in gran parte nelle mani di banche e investitori locali), un’economia che dopo un breve periodo di ripresa all’inizio del lungo mandato di Shinzo Abe (il premier più longevo del dopoguerra, ma che non è riuscito a mantenere le sue promesse) è di nuovo ferma (e da prima che esplodesse la pandemia, che ha ulteriormente aggravato la situazione) e soprattutto in profonda crisi di identità. «Andiamo avanti per inerzia, sempre più tristi e preoccupati per il futuro», afferma il poeta Yae Yachiro, autore di 'Veleno', un saggio che affronta i temi più scottanti del disagio sociale a cominciare da quello dei suicidi, di nuovo in aumento, alla solitudine, di cui il kodokushi, il triste fenomeno degli anziani che si lasciano morire in casa, per non 'disturbare' familiari e istituzioni è forse la manifestazione più crudele.
Si aggiunga, a tutto questo, la sempre più marcata assenza dalla scena internazionale, in un momento storico che sta ridefinendo scenari ed equilibri geostrategici. Un’assenza ingiustificata, di cui la comunità internazionale sente il peso. Nonostante il sorpasso e l’oramai incolmabile distacco subito dalla Cina, parliamo pur sempre della terza potenza economica del mondo, e dell’alleato regionale più importante, anche se non sempre adeguatamente rispettato e consultato (vedi vicenda dei sommergibili nucleari all’Australia) degli Stati Uniti, dunque del cosiddetto 'mondo occidentale'. Un Paese, il Giappone, che da tempo si è conquistato il diritto di svolgere un ruolo importante – se non determinante, pensiamo alle enormi possibilità di mediazione che avrebbe in Medio Oriente, regione dove ha enormi interessi economici ed una 'fedina penale' relativamente pulita – ma che di fatto non è mai riuscito, o non ha voluto, esercitare. Un’assenza ingiustificata, si diceva, che secondo molti ha una precisa motivazione. L’assenza di veri leader politici. Un’assenza che perdura dal dopoguerra, causata anche dal mancato 'ricambio' in seguito alla sconfitta del regime militarista: gli americani, dopo aver 'imposto' la democrazia, hanno preferito puntare sulla vecchia classe dirigente, offrendo impunità in cambio di fedeltà.
Una scelta rivelatasi vincente politicamente (per loro) ma che ha impedito alla giovane democrazia giapponese di crescere autonomamente e coltivare una nuova classe politica. «Questo Paese è arrivato dove è arrivato grazie a grandi manager e a una pubblica amministrazione umile e capace, che è riuscita a compensare, sottraendole il potere e dunque il rischio di combinare guai, la mediocrità della classe politica – spiega Koichi Nakano, preside della facoltà di Scienze Politiche dell’Università gesuita di Tokyo, la Jochi – da qualche anno tuttavia i nodi sono venuti al pettine. La globalizzazione ha indebolito profondamente il settore industriale, l’economia è precipitata e i cittadini hanno cominciato a preoccuparsi per il loro futuro, bloccando i consumi. Nel frattempo i vecchi burocrati sono andati in pensione e non si capisce bene chi si sostituirà ai vecchi politici, molti dei quali sono sopravvissuti, o sono diretti discendenti, del vecchio regime militare. Ignoranti, arroganti, spesso corrotti, ma tutto sommato docili e innocui». Cambierà qualcosa, con il nuovo primo ministro? Il partito liberaldemocratico, che in quanto forza di maggioranza ha il diritto di esprimere il primo ministro, dopo le dimissioni di Suga tiene le elezioni interne mercoledì 29 settembre (vinte da Kushida, Ndr), e il 4 ottobre nominerà il premier. Siamo però al termine della legislatura, e ai primi di novembre il Paese voterà per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti, uno dei rami del Parlamento.
In attesa che il tempo provochi il ricambio che un elettorato stanco e disinteressato non riesce a realizzare – oramai oltre il 60% dei parlamentari sono al loro secondo o terzo mandato, e sono meno propensi a seguire gli ordini dei vecchi capi-corrente – sembra proprio di no. Dei quattro candidati, Taro Kono e Fumio Kishida, entrambi ex ministri degli Esteri, sono andati al ballottaggio: dove peraltro sono decisivi i voti dei parlamentari, non quelli degli iscritti. Ma non aspettiamoci grandi svolte. L’unica questione sulla quale i candidati sembrano davvero divisi è quella nucleare: Taro Kono è l’unico che vuole la progressiva uscita dal nucleare, bloccando la costruzione di nuove centrali e spingendo ulteriormente il settore delle rinnovabili. Tutti gli altri sono invece favorevoli non solo alla ripartenza delle centrali esistenti (attualmente, su 54 reattori, solo tre sono in funzione) ma anche alla costruzione di nuove.
Tra i quattro candidati alla successione del premier Suga, due erano donne, Sanae Takaichi e Seiko Noda. La prima è nota per le sue posizioni ultranazionaliste, la seconda per essere sostenitrice dei diritti delle donne e delle istanze Lgbt. Entrambe non avevano grandi chance. Il Giappone è al 123° posto nella classifica mondiale della parità di genere. Meno del 10% del parlamento è formato da donne che sul mercato del lavoro 'valgono' meno della metà dei maschi: la loro retribuzione media è infatti inferiore del 55%. Qualcuno sostiene che sarebbe un’ottima occasione per scrivere la storia... «Che il nostro Paese debba accelerare il cammino verso la parità di genere non c’è alcun dubbio – sostiene Chiyako Sato, del Mainichi Shinbun, unica donna a dirigere la sezione politica di un grande quotidiano – ma visto chi è sceso in campo... forse è il caso di aspettare il prossimo giro...».
Chi è Kushida, prossimo primo ministro
64 anni, ex ministro degli Esteri, era il candidato dell’establishment. Meno popolare di Taro Kono (su cui ha vinto al ballottaggio) tra gli iscritti al partito, ma con più forti legami nel partito. Promette un piano di rilancio da oltre 3 mila miliardi e di continuare a sostenere il nucleare per l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2040.