Sprecare le fatiche, i drammi e le gioie: ecco ciò che può fare un anno orribile
Caro direttore,
mi chiamo Alessandro, sono sposato con Giulia dal 29 febbraio e il 12 dicembre è nato Pietro. Le scrivo mentre il 2020 sta per terminare. Stamattina, mentre cercavo di destreggiarmi tra pannolini, pulizie, vestitini da smacchiare e regali da sistemare, ho sentito mia moglie prendersela col televisore, dandogli del "cretino". Sono entrato in soggiorno, temendo che parlare con gli oggetti potesse essere uno degli effetti collaterali delle recenti notti insonni: per fortuna invece il bersaglio delle invettive della mia signora era un signore, l’ennesimo, che aveva definito questo 2020 un «anno orribile», annunciando l’inizio di un nuovo tempo di speranza (grazie al vaccino). Mi son chiesto perché queste affermazioni ci suonassero stonate e ci ferissero così tanto. Sicuramente la storia della nostra famiglia, germogliata con letizia tenace in questo anno faticoso, ci impedisce di definire il 2020 orribile. Tuttavia non credo che ci sia solo questo. Mi vengono in mente le parole del Papa: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla». In questi mesi ho vissuto con i miei alunni di seconda media la grande impresa di non perdere tempo, di non accontentarsi di resistere e aspettare in apnea che passasse la tempesta. Una decina di studenti di dodici anni ha iniziato a scrivere un giornale, "The Hope", cioè "La Speranza", e non perché "andrà tutto bene", ma perché il bene c’è, e, insieme, ce lo dobbiamo testimoniare e ricordare. Quel piccolo giornale ha lo scopo di far alzare lo sguardo, non per ignorare il problema ma per guardarlo dalla giusta prospettiva, nella sua interezza. I ragazzi hanno scelto come motto una frase di Vaclav Havel: «La speranza non è la stessa cosa dell’ottimismo. Non si tratta della convinzione che una certa cosa andrà a finire bene, ma della certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire».
Nel 2020 è morta anche mia nonna, e non abbiamo potuto celebrare il funerale. Abbiamo perso parenti di amici, i miei suoceri sono stati in ospedale, ci siamo dovuti sposare con pochi invitati, io non ho mai potuto accompagnare mia moglie alle visite della gravidanza... insomma, non ci sono state risparmiate le fatiche. Ma capisco che quello che permette di non voler gettare nella spazzatura i 366 lunghi giorni che abbiamo vissuto e attraversato è la certezza che c’è un senso. Da cercare, scoprire, vivere.
Possono guardare in faccia quest’anno solo coloro che non pensano che la morte sia la tragedia definitiva, e che l’antidoto sia il santo vaccino. Viene in mente "L’anno che verrà" di Lucio Dalla. Penso alla fine della canzone: «Vedi caro amico / cosa si deve inventare / per poter riderci sopra / per continuare a sperare. / E se quest’anno poi passasse in un istante, / vedi, amico mio / come diventa importante / che in questo istante ci sia anch’io. / L’anno che sta arrivando / tra un anno passerà. / Io mi sto preparando / è questa la novità». La novità per me di quest’anno è, innanzitutto, desiderare di non sprecare l’istante, essendoci dentro con tutto il mio cuore, che l’annus horribilis ha reso più vero, libero, bisognoso, desto.
Alessandro Galimberti
Auguri al piccolo Pietro. Auguri a Giulia, sua moglie, e auguri a lei, caro professor Galimberti. Vi auguro, e auguro agli amici e alle amiche che ci leggono, di camminare dentro quest’anno appena iniziato con lo stesso spirito e la stessa speranza "a occhi aperti" con cui avete attraversato uniti e riempito di vita vera anche il 2020 della pandemia. Sono felice della vostra felicità e della lucidità paziente e generosa con cui avete seminato per voi stessi, per il figlio che avete messo al mondo e non solo per lui. Penso, naturalmente, ai ragazzi e alle ragazze di cui lei, professore, scrive e che, giorno dopo giorno, sta aiutando a crescere con «interezza», fuori dagli schemi della banalità e dell’autoreferenzialità.
Dico ormai sempre e scrivo spesso che ogni momento del tempo che ci tocca di vivere, per quanto duro, è sempre bellissimo. Qualcuno magari pensa che sia solo un retorico modo di dire. No, è esperienza. Da ragazzo, quando avevo immensa fretta di vita e il tempo sembrava scorrere troppo lento, non la pensavo così. L’ho capito anch’io strada facendo che ogni singolo momento è dono e compito: inestimabile, unico e mai già del tutto scandito. È il tempo che ci è stato dato, che arriviamo a sentire "nostro" e nel quale possiamo provare a leggere e a incidere l’indicazione di un «senso» che spieghi il nostro cuore e la nostra intelligenza e che sia persino utile agli altri e, dunque, alla comunità di cui siamo parte. Credo che sia questo che lei, caro Alessandro, e sua moglie Giulia state sperimentando e che volete dire rifiutando l’etichetta oscura di «annus horribilis» per il 2020, che è finito, ma – piaccia o non piaccia – non si è ancora risolto. Anche perché non tutti hanno visto o intuito l’essenziale con altrettanta sufficiente chiarezza, e comunque tutti rischiamo di ritrovarci d’un tratto nella condizione di quelli che, assediati da incertezza e giochi propagandistici, non trovano il bandolo della matassa, e guardano e vedono «come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13, 12). Per questo, lettere così fanno bene. Sono certo, gentile amico, che insegnerà, che insegnerete, al piccolo Pietro che fatiche e prove sono parte dell’esistenza, personale e collettiva, tanto quanto la felicità, e che solo il farsi travolgere dalle une e dall’altra senza nemmeno rendersene conto sarebbe ingiustificabile. Sono certo che gli darete la possibilità di capire che solo non sentire e «sprecare» gioie e sofferenze, e insieme le attese e il dramma degli altri sarebbe davvero orribile. Poi, toccherà a lui, come tocca a ognuno di noi. Ancora auguri, e ancora grazie.