Opinioni

La beneducata novità delle Sardine, utile alla democrazia al tempo della rete

Marco Tarquinio sabato 23 novembre 2019

Caro direttore,
l’Italia s’è desta... ma quello delle Sardine è il solito “movimento contro”? No, non ce l’hanno con i politici. Ce l’hanno con le persone come le donne e uomini che “non si sono fatte sentire abbastanza”. E così questi nostri ragazzi, donne e uomini, stanno aiutando l’Italia a svegliarsi da un lungo letargo. Loro lo hanno fatto dicendo in modo eclatante che il messaggio ossessivo del segretario della Lega Salvini, non rappresenta affatto la maggioranza degli italiani, ce lo ha soltanto fatto credere, con il rumore social e mediatico che ha fatto. Adesso la musica cambia: E questo risveglio ha un calore che conquista! È pulito, intelligente. Le Sardine chiedono cose normali, semplici. Basta radical choc, basta toni e contenuti da neonazi dell’Illinois, basta ammiccamenti agli estremisti più indecenti, basta sdoganamento del pensiero più retrogrado. Siamo anche il Paese della cultura e della solidarietà ed è un dovere rivendicarlo. Torniamo alla vita reale, torniamo nel terzo millennio e alle sfide vere da affrontare come la sostenibilità del welfare, la tutela dell’ambiente e la convivenza civile. Bravi ragazzi per aver suonato la sveglia! Eppure c’è chi teme che magari alla fine non cambierà molto, e si allungherà solo la lista di “alternativi agli alternativi agli alternativi”. Su, su fino a Forza Italia, Italia dei Valori e poi Querce, Ulivi, Margherite e altra botanica, e girotondi, e padanie, e “vaffa”... Eppure c’è chi dice che queste Sardine sono più beneducate, ma per il resto – appunto – è il solito “movimento contro”. No, le Sardine sono una reazione resistenziale, una scossa salutare, ma non hanno alcun contenuto di progetto comune e non sono un movimento con un programma e obiettivi precisi. Riconosco in quel risveglio i meriti che hanno ma non carichiamo di significati politici che non ci sono: il tritacarne mediatico li usa e poi li stritola. Non si può chiedere ad un fiore di portare sacchi da un quintale. Fatta salva ogni altra considerazione, essere “più beneducati”, nell’Italia di oggi, è già una condizione rivoluzionaria.
Celso Vassalini, Brescia

Gentile direttore,
sono rimasta molto male leggendo che, secondo le Sardine (meglio: secondo gli estensori del manifesto delle Sardine), i loro avversari non avrebbero diritto a essere ascoltati. Veramente, fino a qualche anno fa anch’io la pensavo un po’ così, non contro degli “avversari”, ma in generale: mi stava benissimo, per esempio che gli “imbecilli” scrivessero su internet, purché io non fossi costretta a leggerli. Poi però sono incappata in questo brano che Le invio e mi sono accorta che la mia posizione era quantomeno parziale. Mi piacerebbe che fosse diffuso, perché è una posizione di cui c’è bisogno, e non solo tra i pesci.
«La libertà di parola è un’idea che oggigiorno gode di tutta l’impopolarità di un truismo; e così tendiamo a dimenticare che non è passato molto tempo da quando essa aveva l’assai più concreta impopolarità di cui gode una verità nuova. L’ingratitudine è senz’altro il principale di tutti i peccati intellettuali dell’uomo. Egli dà per scontati i benefici politici di cui gode così come dà per scontati il cielo e le stagioni. Egli considera la tranquillità di una via cittadina altrettanto immancabile quanto la tranquillità di una radura in un bosco, mentre invece la via è mantenuta tranquilla solo da uno sforzo prolungato simile a quello che tiene viva una battaglia o un duello alla spada. Come dimentichiamo il nostro posto in relazione ai fenomeni naturali, così lo dimentichiamo in relazione ai fenomeni sociali. Dimentichiamo che la terra è un corpo celeste e dimentichiamo che la libertà di parola è un paradosso. Non è affatto evidente che un istituto come la libertà di parola sia corretto o giusto. Non è naturale né ovvio lasciare che un uomo blateri sciocchezze e abominii che tu ritieni pessimi per l’umanità più di quanto sia naturale e ovvio lasciare che un uomo si metta a far buche sulla pubblica via o infetti mezza città con la febbre tifoide. La teoria che sta dietro alla libertà di parola – e cioè che la verità sia così tanto più ampia e strana e sfaccettata di quanto possiamo sapere, e che è assai meglio ascoltare la versione di ciascuno, costi quel che costi – è una teoria che è stata nel complesso giustificata dall’esperienza, ma che rimane una teoria assai audace e perfino assai sorprendente. È davvero una delle grandi scoperte dell’epoca moderna; ma, una volta riconosciuta, è un principio che non tocca solo la politica ma anche la filosofia, l’etica e infine la poesia. Browning è tutto sommato il primo poeta ad applicare tale principio alla poesia. Egli percepì che se desideriamo narrare la verità a proposito di un dramma umano, dobbiamo raccontarlo non semplicemente come un melodramma in cui il cattivo è cattivo e il comico è comico. Vide che la verità non era stata narrata finché egli non aveva visto nel cattivo il puro e disinteressato gentiluomo che molti cattivi ritengono fermamente di essere, o finché non aveva considerato il comico tanto seriamente quanto i comici sono soliti considerare sé stessi. E in questo Browning è oltre ogni dubbio il fondatore della moderna scuola poetica». (Gilbert K. Chesterton, Robert Browning, cap. VII “The Ring and the Book”).
Grazie dell’attenzione. Cordiali saluti.
Umberta Mesina, Perugia


Sto guardando e cercando di capire, come tanti, quello che accade e in diversi modi viene detto anche con il silenzio nelle piazze d’Italia trasformate in “mare” agitato eppure civilmente ordinato dalle autobattezzate Sardine. E queste vostre lettere, caro amico e gentile amica, hanno il pregio di interrogare con stile sul punto. È bene che ci si faccia di queste domande, ed è bene che le cose dette e taciute in questo nostro frangente, tra questi civili frangenti, scuotano e facciano pensare. Anche in maniera così diversa, come voi fate.
L’importante, a mio parere, è che finalmente e davvero da tanti non sia più dato per assodato e per inscalfibile il (dis)ordine delle cose e dei valori che ha caratterizzato per mesi e mesi (ma dovrei dire anni...) il dibattito pubblico, la narrativa mediatica prevalente e le scelte politiche che da essi sono scaturite. I silenzi eloquenti e ironici delle Sardine e la loro manifesta opposizione alla volgarità della politica e della pubblicistica odiosa sono una buona notizia, comunque la si pensi e persino per l’avversario dichiarato Matteo Salvini (che credo sarà stanco di misurarsi con sparring partner lenti e prevedibili, pronti a imitarne movenze e tattiche, autolimitando le proprie visioni e giocando spesso di rimessa, o comunque con impaccio, sui temi del populismo securitario).
Ma voglio essere chiaro: per me, cronista interessato a ogni “gesto” che smascheri le grida e i silenzi e i vuoti di attenzione e di umanità della politica attuale e dei media allineati a questa politica, il “movimento” impresso dalle Sardine è un movimento che promette di essere, oltre che sorprendente, davvero utile. Utile alla nostra democrazia presente, e a quella futura. E questo perché sa lanciare un monito alla politica delle formazioni egemoni vecchie e nuove. È, infatti, una gran prova di partecipazione politica senza partiti. Ma anche una prova di “digitalismo” (cioè di uso politico di Rete e social) senza studi associati regnanti in cima a un cielo a cinque stelle e di una comunicazione istantanea senza zanne da Bestia (la macchina salviniana). E abita le piazze con pulizia e senza piazzapulitismo.
A me pare, insomma, che il movimento delle Sardine segni un battagliero approdo di quella “condizione montaliana” che tanti oggi, a quasi cent’anni dalla fulminante confessione del grande poeta di “Ossi di seppia”, sperimentano al cospetto del mondo e dello spettacolo della politica: «Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». E al tempo stesso – e qui rubo l’immagine a Giorgio Gaber – questa iniziativa dal basso dà corpo e rende manifesta l’«illogica allegria» di chi sente che la sfida è dura, ma il viaggio non è finito, e c’è tanta storia ancora da scrivere. Ha contenuti, insomma, ma è anche un metodo. Ed è un metodo che a me piace. Vedremo.
Detto questo, caro amico e gentile amica, vorrei sottolineare due punti – due modi di essere e di fare – delle vostre lettere: l’ascolto e la buona educazione. Ringrazio di cuore la signora Mesina per la condivisione della scintillante e paradossale pagina di Chesterton sulla libertà di parola da difendere e ascoltare «costi quel che costi» e in essa ammetto di trovare di un’attualità sconvolgente, in tempi di aggressivo cattivismo, soprattutto quel poetico appello a scorgere «nel cattivo il puro e disinteressato gentiluomo che molti cattivi ritengono fermamente di essere».
Ma confesso anche di aver trovato nella intemerata delle Sardine più che un non-ascolto dell’avversario, una dichiarata volontà di “non dargli retta”. («Grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare»), cioè di non stare al suo gioco. Al signor Vassalini dico invece, e infine, che sono totalmente d’accordo con lui: dibattere e dissentire anche con passione, ma sempre «con educazione» oggi in Italia sembra davvero diventata un’attitudine rivoluzionaria. Teniamocela cara. Ma da cristiani ricordiamoci anche che a noi è chiesto un po’ di più della buona educazione...>