Ragione e cuore parlano chiaro: tutto, ora, per fermare il massacro
Gli occhi ben aperti di lettori e lettrici su una guerra arrivata al 74° giorno d’invasione russa dell’Ucraina, ma in corso da ben 2.999 giorni. Crescono i timori "dal basso" e altrettanto le responsabilità politiche
Gentile direttore,
vorrei solo unire queste mie righe alle lettere che ha ricevuto in questi giorni, semplicemente per ringraziarla per quanto scrive e dice, in questo tempo buio, sulla guerra in Ucraina. Leggo sempre tutti gli articoli su Avvenire.it, il vostro sito online, e compro saltuariamente il giornale cartaceo per trovare un po’ di verità su quello che succede, per confrontarmi con opinioni che mi illuminano, per non leggere notizie di parte, per non perdere la speranza. Mille volte grazie a lei e a tutti i suoi colleghi e collaboratori. Che Dio vi benedica
Rita Bailo
Caro direttore,
vorrei esprimere tutta la mia solidarietà a lei e a chi come lei si spende contro l’escalation bellica del conflitto russo-ucraino e per questo è fatto oggetto di una polemica continua. In tv e sui giornali. Questo atteggiamento aggressivo fa emergere in modo esemplare la difficoltà che c’è oggi da noi a “pensare la complessità” e alla tendenza a consegnarsi a quello schematismo elementare per cui chi pone questioni di contesto e vede i rischi della guerra in corso viene etichettato come “filo-putiniano”. Ora, a parte che dovremmo ormai sapere chi sono o sono stati, anche qui da noi in Italia, gli ammiratori dell’autocrate del Cremlino, la questione è un’altra: proprio perché Putin è effettivamente un uomo durissimo, e lo si sapeva, chi ha incitato a lungo il popolo ucraino ad andare al macello ha pure la sua grave responsabilità. Senza dimenticare la poco ricordata vicenda, speculare, del riconoscimento del Kosovo, e della guerra con cui la Nato in quell’area fece prevalere il principio etnico su quello dell’integrità territoriale di uno Stato nell’Europa del dopo-Muro, la Serbia. Un fatto oggettivo, indipendentemente dal fatto che al Cremlino ci sia un leader savio o uno pazzo. Adesso inglesi e americani dicono che l’obiettivo della guerra è “far cadere Putin”, e pazienza se noi europei – d’oriente e d’occidente – nel frattempo andiamo in rovina. Tutti vorremmo vedere il despota e la sua cerchia fuori gioco, ma ricordiamoci della Siria: undici anni di stragi, un Paese distrutto, e tutto per nulla: Assad è ancora lì. E sappiamo fin troppo bene com’è andata in Libia!
Danilo Mevo
Gentile direttore,
ringrazio “Avvenire” per la preziosa opera d’informazione che svolge, in particolare con riferimento alla guerra in Ucraina, Le confesso che, in quasi 55 anni di vita, non sono mai stata tanto preoccupata per le sorti dell’Italia, dell’Europa, dell’Occidente. Non sono una pacifista, ma penso che non possiamo fermarci al fatto che l’Ucraina è stata invasa e trarne la conseguenza che dobbiamo aiutarla a “vincere” militarmente a qualunque costo, senza considerare le conseguenze per la stessa popolazione ucraina, i rischi per la pace mondiale, i danni per l’economia europea, la minaccia della fame per milioni di persone in Africa e Medio Oriente, gli indesiderabili effetti geopolitici dello spingere più decisamente la Russia verso la Cina (grande civiltà, ma con qualche problema in fatto di democrazia e diritti umani, per essere estremamente diplomatici). Credo che dobbiamo dare davvero una chance alla pace, cominciando con il ricordare che il ricorso alla diplomazia non significa limitarsi a ripetere allo Stato aggressore che deve ritirarsi, ma cercare un compromesso che possa dispiacere il meno possibile alle parti in conflitto, e che non è affatto vero che la sciagurata decisione russa di ricorrere alla forza militare renda irrilevanti tutti i problemi irrisolti dei rapporti russo-ucraini e di quelli con le minoranze (non solo) russofone in Ucraina. Prego che la razionalità prevalga sulle passioni e che il Signore ci aiuti a perseguire la pace. Al contempo, spero che i politici che fra qualche mese mi chiederanno il voto comprendano che cosa mi attendo da loro.
Annalisa Ferramosca
Caro direttore,
sono grato per la linea coraggiosa di “Avvenire” nel raccontare questi mesi. Negli anni è stata accumulata una tempesta che non poteva che dare origine a una guerra feroce e forse lunga. Colpisce il popolo ucraino, cui va tutta la nostra umana solidarietà, ma anche quello russo che vede i suoi giovani mandati al macello e le famiglie impoverite. Noi paghiamo e pagheremo un duro costo economico. E speriamo non altro. È una guerra basata su masse enormi di menzogna da entrambe le parti, a Mosca come a Kiev, a Washington come, pur defilata, a Pechino. Mentre l’Italia ha adottato con leggerezza misure di co-belligeranza. Invero, è quasi impossibile capire cosa succeda veramente. L’allineamento non di Avvenire, ma di gran parte della stampa e di quasi tutti i media elettronici sulle posizioni ucraine e Nato, come se già operasse una censura militare, ci rovescia addosso uno spettacolo quotidiano atroce e insensato. Tale propaganda, speculare e opposta a quella di Putin, frutta ai signori della guerra il mantenere alto nella popolazione quell’orrore che motivi ora a un sostegno alla guerra e in seguito, forse, alla nostra entrata diretta nello scontro. Sono un vecchio maestro elementare che si commuove ogni volta che legge la citazione costituzionale affissa alle scuole di Santarcangelo di Romagna: “L’Italia ripudia la guerra”. Un rifiuto radicale ove non si tratti di difendere il suolo patrio. No, io non voglio vedere altra miseria e tantomeno figli e nipoti partire per la guerra. No alla «fine della pace» (tragico titolo di “Limes”), no a un’altra «inutile strage»!
Gabriele Boselli
Consegno quasi interamente lo spazio di questa rubrica alle voci dei nostri lettori e delle nostre lettrici in questa seconda domenica di maggio, dodicesima domenica di guerra aperta in Europa, 74° giorno d’invasione dell’Ucraina per ordine di Vladimir Putin e 2.999° del sanguinoso braccio di ferro tra Mosca e Kiev a cui parte dell’Occidente partecipa dall’inizio. Stiamo accompagnando il loro sforzo di cittadini e di cittadine per “leggere” questa terribile fase del conflitto e per pensare e sperare oltre di esso. E loro accompagnano il nostro lavoro e lo sostengono (grazie, mille volte grazie). Hanno occhi buoni e dimostrano grande lucidità e non solo timori. Ma anche questi – i timori, le paure – sono frutto della lucidità che non possiamo permetterci di perdere in un frangente come l’attuale in cui l’escalation continua, la sofferenza delle popolazioni aumenta, le armi in azione sui due fronti si moltiplicano e lo scontro finale e devastante, persino con l’uso di strumenti di distruzione di massa, è evocato senza pudore a est come a ovest. Chi ha responsabilità, in Parlamento e nel governo, ascolti queste voci “dal basso”. Su Mosca grava più che su ogni altra capitale il peso dei passi da compiere per non sprofondare nel baratro, ma l’apertura di una via d’uscita è compito comune. E c’è bisogno, ora, proprio ora, del coraggio di spingere gli eventi nell’unica direzione giusta, quella che indica papa Francesco: fermare il massacro.