Tutte le guerre hanno ragioni e fascino, ma solo e soltanto la pace ha ragione
Tre alte e appassionate riflessioni danno voce ad altrettanti approcci alla resistenza necessaria contro l’aggressione dell’Ucraina decisa da Putin: politico-diplomatico, bellico, nonviolento. La nostra Carta è chiarissima, come il Papa
Caro direttore,
ho molto apprezzato la tua onesta, coraggiosa autocritica per la pubblicazione della nota foto della bambina ucraina che imbraccia il fucile. Un atto coerente, il tuo, con la linea di “Avvenire” da te riassunta con le seguenti parole: «Una follia pianificata che... non ci stanchiamo di denunciare all’unisono con papa Francesco e con i più lucidi e coraggiosi obiettori alla retorica bellica e alla vertigine dell’escalation». La stessa preoccupazione espressa di recente dal teologo Severino Dianich contro una certa mistica della difesa armata che gli ha suggerito di richiamare le condizioni e i limiti di essa quali si rinvengono nel Catechismo universale della Chiesa cattolica. Chi conosce la teologia e il magistero al riguardo – non gli orecchianti o i prevenuti – sa bene che essi non sono suscettibili di essere inscritti sotto la cifra del pacifismo ingenuo e imbelle; che essi non escludono il diritto-dovere alla legittima difesa di persone, popoli, nazioni. Ma che, saggiamente, stabiliscono condizioni e limiti nel ricorso alle armi. Se è vero che la teologia morale, nei suoi sviluppi, ha riconosciuto i limiti della tradizionale morale legata alla “casistica”, non va tuttavia ignorata l’anima di verità e di concretezza di essa, figlia di una storia secolare. Per esempio: si fissa il principio – la legittima difesa anche armata – ma ci si fa carico di articolare le condizioni, le circostanze e i limiti che ne garantiscano una giusta applicazione. Ponendosi stringenti, puntuali domande: chi, come, quando, a che prezzo, con quali prevedibili prospettive. Compresa la valutazione delle fondate previsioni di efficacia. Nel nostro caso, ci si è chiesti e ci si è divisi sul se fornire le armi alla resistenza ucraina. Una discussione legittima, una scelta drammatica. Ma che attiene ai mezzi, fermi restando i fini – soccorrere l’aggredito e fermare l’aggressore russo –, cioè la inequivoca scelta di campo a favore della vittima ucraina. Per questa ragione, non mi ha convinto chi ha opposto la manifestazione per la pace di Roma a quella di Firenze, espressive di accenti diversi, ma entrambe portatrici di buone ragioni e di una sincera, comune tensione a una pace giusta. Quel che preoccupa è che la guerra instilli inavvertitamente un ethos e una cultura bellicista; che oscuri la coscienza della portata drammatica del ricorso alle armi cui accedere solo come extrema ratio; che chi (magari anche il Papa) solo solleva tali interrogativi sia iscritto d’ufficio tra gli “amici di Putin” o quantomeno tra chi non sa distinguere tra aggressore e aggredito che invece ci sono chiarissimi; che, per quanto difficile al limite dell’impossibile, non debba essere ricercata – questa sì senza se e senza ma – una soluzione politica e negoziale, ancorché essa di necessità comportasse un compromesso che potrebbe sembrare iniquo. Perché, dentro i conflitti, la politica è la sola alternativa alla violenza.
Franco Monaco, già parlamentare della Repubblica
Caro direttore,
continuo a riflettere sull’intervista rilasciata ad “Avvenire” (12 marzo 2022) dal presidente di Pax Christi, l’arcivescovo Ricchiuti. Mi colpisce l’affermazione secondo la quale l’Italia non deve essere coinvolta nel conflitto fra Russia e Ucraina «né con armi né con preparazione di uomini» (immagino si sostenga che non si devono addestrare i soldati ucraini). E mi colpisce la critica che monsignor Ricchiuti rivolge al nostro Governo per aver inviato armi in Ucraina; «questa strada», viene affermato con decisione, «è sbagliata». L’aspirazione alla pace è comune a molti popoli della terra, ma purtroppo non a tutti e non sempre. La pace, e la storia è lì a ricordarcelo, ha molti nemici. Da tempo papa Francesco ci ricorda che si sta combattendo una «terza guerra mondiale a pezzi». Affinché la pace non regni su nazioni trasformate da qualche tiranno ben armato in campi di concentramento, a volte può essere necessario l’uso delle armi per difendersi da chi aggredisce, una volta esauriti tutti i tentativi di una composizione dei contrasti che sia equa e rispettosa della libertà di tutti. Altrimenti come capire i tanti cattolici, e fra questi i non pochi sacerdoti, che nel 1943-45, grazie alle armi provvidenzialmente fornite dagli anglo-americani, lottarono per liberare l’Italia dal giogo nazista? E oggi, come potremmo guardare negli occhi un giovane ucraino che, portati in salvo moglie e figli, torna indietro per combattere e dirgli che, no, dargli un’arma è sbagliato?
Il mondo occidentale ha le sue carenze, le sue colpe, al punto che per molti studiosi la sua civiltà sarebbe ormai entrata in una inarrestabile fase declinante, della quale non mancano purtroppo alcuni segnali (basti pensare alla denatalità). Lo sostiene anche il patriarca Kirill che ha giustificato l’invasione russa dell’Ucraina come una mossa difensiva di fronte all’espansione di modelli europei peccaminosi e contrari alla fede cristiana. Non è dato sapere come Kirill giudichi, sul piano dell’etica cristiana, il comportamento dei tanti oligarchi russi che fanno corona a Putin, che a sua volta li protegge, e ostentano, nel peccaminoso occidente, ville, palazzi, lussuose imbarcazioni e frequentazioni dei più costosi negozi e locali notturni. E tuttavia, è verso questo Occidente che cercano rifugio milioni di uomini, donne, bambini, desiderosi di lasciarsi alle spalle guerre, terrorismi, fame, miserie, tirannie laiche e religiose. Non uno di essi chiede di entrare nella Santa Russia di Putin e di Kirill. Perché? Credo che la risposta a questa domanda ci sia e si chiami “libertà”. Scriveva Giovanni XXIII nella Pacem in terris che «I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre…» (120). Libertà e pace furono i grandi valori che guidarono nel dopoguerra novecentesco grandi statisti, alcuni di forte formazione cattolica, verso il progetto di un’Europa unita. E sono ottant’anni che la decadente Europa si è sforzata, non senza successo, di preservare al suo interno libertà e pace e di garantirle a Paesi che avevano provato le tirannie zarista e sovietica e che potevano avere il timore storicamente fondato (e quanto fondato ce lo conferma la tragedia di questi giorni) per il loro futuro. La pace senza la libertà è solo un cimitero. Per questo, noi cattolici, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, dobbiamo impegnarci per tutelare la libertà attraverso la cooperazione e le intese. Ma dobbiamo anche accettare, con sofferenza, che la storia a volte ci obblighi a salvare la libertà combattendo il tiranno.
Carlo Santini, economista
Caro direttore,
esprimere in vari modi l’opposizione alla guerra in Ucraina (e a tutte le guerre) è sempre positivo. Può accendere una luce. Darci una prospettiva. Indurci a riflettere sui motivi delle guerre e sulle condizioni per una pace possibile (che si fa sempre col nemico o l’aggressore). Non si tratta, come dicono molti commentatori, di essere o filorussi o filoamericani o terzisti. Non serve partire da un precostituito, certamente lecito ma insufficiente schieramento. Meglio esprimere, col francescano “cuore straziato”, il proprio sgomento e ragionare per prevenire le guerre. Si tratta di costruire la pace con mezzi di pace (una grande novità raramente utilizzata). Il clima bellico, purtroppo, offusca la mente di tanti e induce a schierarsi in modo aggressivo alimentando divisioni, accendendo intolleranze, potenziando la corsa alle armi, aggravando la spirale delle distruzioni. Che pena leggere sul “New York Times” (e altrove) che il Papa sarebbe ambiguo, colpevolmente neutrale, senza valutare la sua passione coinvolgente, la sua saggezza costruttiva o la sua mitezza forte (ad esempio, nel colloquio col patriarca Kirill). È urgente interrompere una spirale di violenza e di guerra che rischia di protrarsi per molti anni senza sbocchi. Verificare se vi siano margini di negoziati che non siano capitolazioni, risparmiando dolore e orrore. All’Angelus del 13 marzo il Papa, condannando «l’inaccettabile aggressione armata», osservava che davanti alle morti di tanti innocenti «non ci sono ragioni strategiche che tengano» e che bisogna «fermare questo massacro» (nello spirito della Costituzione italiana, precisava già il 27 febbraio). È necessario ripristinate il diritto internazionale faticosamente conquistato e facilmente vilipeso. Riportare l’Onu, resa impotente, al centro della scena. Costruire un’Europa come soggetto politico costruttore di pace (forse ci manca un David Sassoli). Avviare politiche di disarmo (l’opposto di ciò che sta avvenendo in Italia, orientata anch’essa a potenziare le spese militari). Occorre cambiare lo sguardo. Se lo scoppio di una guerra è una sconfitta per l’umanità, nel nostro mondo interconnesso questo vuol dire che è una sconfitta di tutti. Chiama in causa tante responsabilità. Secondo il cardinal Parolin (“Vatican news” 11 marzo 2022), «purtroppo, bisogna riconoscere che non siamo stati capaci di costruire, dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente questa sconfitta. Però vorrei anche dire che non è mai troppo tardi, non è mai tardi per fare la pace, non è mai tardi per tornare sui propri passi e per trovare un accordo». È così.
Sergio Paronetto, Pax Christi
Non facciamo che arrovellarci su come modulare la resistenza che tutti (o quasi) sappiamo dev’essere fatta alla guerra d’aggressione che la Russia di Putin ha acceso contro l’Ucraina. Ci sono buone ragioni per tre diversi approcci: politico-diplomatico, bellico, nonviolento. E aiutano a capirlo proprio le riflessioni che propongo oggi in questo spazio di dialogo. Sono firmate da Franco Monaco, Carlo Santini e Sergio Paronetto, tre intellettuali "con le mani callose" (per l’efficacia con cui si sono spesi e si spendono nei loro mestieri e nella sfera pubblica). Le trovo appassionate e utili. Conto che anche l’informazione e le opinioni che stiamo offrendo su "Avvenire" siano altrettanto utili: capaci di far pensare e, soprattutto, di aiutare a non cedere alla seduzione feroce della guerra e della sua ineluttabilità come «strumento per risolvere le controversie internazionali». È l’espressione che la nostra Costituzione usa per «ripudiare la guerra» ed è unica al mondo per chiarezza e forza. Proprio per questo, inorgogliendoci, il Papa l’ha citata come esempio chiedendo di fermare le armi. Tutte le guerre hanno ragioni, ma soltanto la pace ha ragione.