Beni (e riti) senz'anima: l'alternativa è «civile» e precede la denuncia
Gentile direttore,
ho letto con molto interesse l’editoriale affidato al professor Luigino Bruni e intitolato «Blackfriday e religione del consumo. Come beni senz’anima» ("Avvenire", 26 novembre 2021). Concordo totalmente su quanto espresso, ma alla fine mi sorge una domanda: e allora? Che fare? Di fronte a questo "attacco" sottile ma massiccio del capitalconsumismo, qual è il comportamento del cristiano? Come singolo e soprattutto come comunità? Il futuro prossimo appartiene ai piccoli gruppi, alle comunità diffuse (preconizzate da Benedetto XVI, mi pare) chiamate a dare testimonianza di un altro modo di vivere con le loro scelte quotidiane? L’articolo mi sembra si fermi proprio dove il lettore (almeno il sottoscritto) si aspetterebbe una proposta. Grazie.
Mario Ravalico, Trieste
In realtà, gentile signor Ravalico, secondo una nostra sana abitudine la proposta le avanziamo persino prima della denuncia... Voglio dire che praticamente ogni giorno articoliamo sul nostro giornale indicazioni concrete (spesso anche in forma di esemplari "buone pratiche") su che cosa fare per resistere alla fascinazione dei beni (e dei riti) senz’anima del capitalconsumismo e per cambiare finalmente direzione nella vita delle nostre comunità civili ed ecclesiali, riportando la persona umana e le sue relazioni al centro della dimensione economico-sociale e rispettando il posto di Dio. Senza mettere più noi stessi o, addirittura, i nostri "prodotti" al centro di tutto.
La cosa forse per me più importante è che, in questi anni critici che hanno segnato l’inizio del XXI secolo, abbiamo affinato, e accentuato, la capacità di farlo tutti insieme: redattori, preziosi collaboratori – come Luigino Bruni – e amici lettori. E posso dirle che ci ha fatto bene, rafforzando impegno e slancio, aver trovato costantemente ispirazione, sostegno e impulso nel magistero della Chiesa e nella fattiva convergenza con tanti uomini e donne di buona volontà, anche non credenti o diversamente credenti, persuasi dell’impresa proprio come noi. Grazie alle parole e ai gesti di papa Francesco – nelle sue Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, nel pungolo ai "potenti" del mondo, nella costruzione della nuova e fondata prospettiva che chiamiamo «L’Economia di Francesco» (della quale proprio il professor Bruni è direttore scientifico) – questa «minoranza creativa» (parola di Benedetto XVI, lei ricorda bene) si sta facendo maggioranza motivata. Penso, ed è solo un esempio, a iniziative aggregative di imprese, centri studi e agenzie morali come il "Manifesto di Assisi" promosso dai francescani e dalla Fondazione Symbola. Penso ai Circoli Laudato sì... Ed è importante il sostegno specifico venuto con le scelte della Chiesa italiana che sono state annunciate nell’ultima Settimana Sociale, il cui percorso a tappe s’è concluso a fine ottobre con la grande assemblea riunita emblematicamente a Taranto, cuore ferito e non ancora sanato della questione del lavoro degno e dell’ambiente preservato per l’oggi e per il domani. Certo, l’annuncio deve ora diventare realtà, un contributo "con l’anima" alla riedificazione di un sistema davvero sostenibile e di un mercato più sobrio e dal voto umano. La chiamiamo Economia civile (e le dedichiamo tanta parte delle nostre cronache e un inserto ad hoc, per ora quindicinale) e cerchiamo di far capire che è parte di un’idea esigente e solare di società e di mercato e di politica, è parte di una storia segnata dalla fede, dalla carità e della speranza cristiana ed è frutto di alta moralità laica e di profonda, potente spiritualità. Ma sappiamo che gli impacci sono tanti e i frenatori scettici e iperrealisti e sono sempre all’opera: "Meglio un affare oggi che un domani più vivibile", "Meglio la sicurezza (e la ciminiera) vecchia, della via impegnativa e nuova". Pensi solo, gentile amico, che dalla possibilità di costituire «comunità energetiche verdi», uno degli impegni concreti delineati a Taranto, le parrocchie sono state incomprensibilmente messe ai margini dalle normative vigenti. Ma adesso, finalmente, si sta ragionando e lavorando per rimuovere anche questo blocco anti-reti virtuose di solidarietà e di conversione ecologica.
Grazie, dunque, per il suo serio pungolo. Noi che facciamo "Avvenire" e mettiamo in circolo idee e modelli (con)vincenti, sappiamo che c’è da preparare tutti insieme un avvenire buono e diverso, che il tempo è questo e che il cantiere è aperto.