Servono memoria e domande di futuro. Il dibattito che manca tra gli «sconfitti»
Se ci si allontana per un momento dalle vicende tumultuose che hanno accompagnato la nascita del nuovo Governo, si registrano fatti e tendenze non scontate: il silenzio di chi ha perso più di tutti nelle elezioni politiche del 4 marzo, le formazioni di centro e la sinistra; le voci coraggiose che alcuni che vogliono riscrivere il futuro; il ruolo che memoria e idealità possono avere per riprendere il cammino.
Il silenzio di chi ha perso è assordante, eccessivo anche rispetto al comprensibile smarrimento per la sconfitta subita. Quasi un’intera area politica 'centrista' (d’ispirazione cattolica e laica) che per anni ha cercato di modernizzare destra e sinistra e con esse – dividendosi, più e più volte – si è assemblata, tace e sembra scomparsa. E intanto Il più grande partito della sinistra che – nelle sue varie fasi e con la sua classe dirigente – è stato perno della vita istituzionale degli ultimi decenni, oltre a perdere la voce, quasi si perde in un cupio dissolvi che investe correnti, persone, organizzazioni, prima assai dinamiche, loquaci, combattive. Personalità eminenti della storia repubblicana che hanno riempito a lungo l’immaginario collettivo, e la realtà quotidiana, sembrano non sentire il bisogno di lanciare idee e segnali.
Eppure, persone, partiti, movimenti, avrebbero molto da dire. Per esempio, porsi domande sul perché la sconfitta è stata così ampia, profonda, quasi senza appello. O quali errori si sono compiuti, davanti all’Italia intera, nel praticare la politica con insistita arroganza, nel rifiutare le critiche anche le più sagge e vicine; e soprattutto nell’essersi lasciata alle spalle la parte migliore di sé, della propria tradizione, nella difesa dei più deboli, di chi subisce ingiustizie, nella formazione dei giovani basata su una scuola e una società aperta al futuro, nella tutela della vita oggi colpita in tanti modi e da ogni parte, nel nostro Paese e ovunque nel mondo. Singolarmente, alcuni di questi temi sono stati affrontati da chi non ha partecipato alle elezioni, quindi non ha né vinto né perso, ma ha osservato che il futuro si costruisce ricominciando subito, senza indulgere a pessimismo e rassegnazione, valorizzando le tante cose buone che esistono in Italia, spronando coloro che sono impegnati fuori della politica.
Il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, e con lui altre voci dell’area cattolica, hanno ricordato che la fede ha sempre prodotto storia, e con essa passioni e idealità, ha animato la modernità, ha fatto crescere in Italia e in diversi Paesi una società più libera e fondata sui diritti umani: anche se di recente è prevalsa la scelta di delegare ad altri la gestione della politica e della cosa pubblica. L’orizzonte di questa analisi può essere di stimolo per soggetti e protagonisti della vita nazionale, segnalando il vuoto che s’è creato da tempo quando s’è persa la capacità di elaborare valori, farsi catturare da ideali, impegnarsi per dare alla politica un’anima, spingere i giovani ad agire da protagonisti. Scegliendo questo tipo riflessione si possono evitare errori più gravi, si può mutare davvero direzione. Oggi una cosa va detta con forza, non si costruisce la propria identità aspettando che gli altri sbaglino, pensando di potersi sostituire a essi non appena si manifestino le prime delusioni: questa sembra un’onda da cavalcare con successo, ma sarebbe davvero un’idea insensata, che non cambia niente e nessuno, può solo ibernare concezioni e pratiche politiche già travolte dalla realtà della globalizzazione. Né si ricostruisce la propria identità ripetendo slogan che selezionano per comodo la memoria di battaglie passate. Questo punto chiede coraggio e innovazione. La memoria storica di idealità, conquiste sociali, valoriali, è parte integrante e insostituibile di ogni progetto politico, e senza di essa si nasce e si finisce effimeri. Ma la memoria storica deve essere autentica, rivissuta nei suoi valori più solidi, non può essere formale e ripetitiva per generazioni che non hanno vissuto il passato.
Per quanto sembri difficile, oggi si può ridefinire la propria identità sapendo che il tempo della ricostruzione è un tempo lungo, occorre una progettualità capace di suscitare entusiasmo, adesione, consensi duraturi, senso di appartenenza. È illusorio, quasi ridicolo, credere che oggi si possa continuare con manovre di palazzo o sognando rivincite costruite sugli errori altrui. Quel tempo e quei calcoli, comunque sbagliati e perniciosi, sono passati. Oggi bisogna essere capaci di ridefininirsi movendo dall’a,b,c, di un alfabeto politico propositivo, rispettoso degli altri, fondato su competenze vere, invitando i giovani a impegnarsi nella sfera pubblica con entusiasmo e responsabilità, su base di diritti-doveri uguali per tutti. Soprattutto ci si libera dall’effimero, ricostruendo un senso di appartenenza basato su temi grandi e strategici: giustizia nel mondo del lavoro e nei rapporti personali, tutela e promozione della famiglia e del suo autentico significato comunitario, salvaguardia della vita, valorizzazione della scuola e della formazione delle nuove generazioni.
Più volte su Avvenire, ma anche altrove, si è sottolineato come all’impegno dei giovani e di tanti giovani cattolici impegnati nel 'sociale', cioè nel mondo della solidarietà, dei mestieri e delle professioni, corrisponde una grande distanza-assenza rispetto alla politica e alla cura delle istituzioni. Eppure questo è il terreno di maggiore investimento per una politica nuova, che sappia fare innamorare di sé stessa, sappia chiedere ai giovani ambizioni e capacità critica, formulando quella domanda che spesso rivolge loro papa Francesco, «Che cosa cercate?», ricordando che i giovani sono sanamente inquieti, e la giovinezza è sempre un’età segnata dalla domanda di senso. E la politica, oggi, deve tornare a dare risposte ricche di senso e di futuro.