Il rompicapo Niger (e Sahel). Il dialogo unica arma
Il Niger è un rompicapo politicodiplomatico. Anzitutto perché la comunità internazionale – dalla Ue all’Onu, dall’Unione Africana alla Comunità economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Ecowas-Cedeao)- si è stretta, com’era prevedibile, attorno al deposto presidente Mohamed Bazoum. Dall’altra, una parte consistente del popolo nigerino manifesta apertamente un forte sentimento anti-francese, sostenendo la giunta militare del generale Abdourahmane Tchiani. Come se non bastasse, i protagonisti dei colpi di stato avvenuti a cavallo tra il 2020 e il 2022 in Mali e Burkina Faso, hanno fatto sapere che qualsiasi intervento militare contro il Niger equivarrebbe a una dichiarazione di guerra contro i loro rispettivi Paesi, già pronti ad adottare misure d’intervento in appoggio alla giunta insediata a Niamey. Nel frattempo, il fallimento della missione diplomatica dell’Ecowas non fa ben sperare.
Il governo di Mosca, da parte sua, ha assunto una posizione moderata auspicando una soluzione negoziale per la risoluzione della crisi. Una presa di posizione, questa, che comunque va assunta col beneficio d’inventario in quanto proprio nel vicino Mali è dislocato un contingente di mercenari della Wagner alcuni dei quali, stando a fonti della società civile, sarebbero già da alcuni giorni in territorio nigerino. Ed è bene rammentare che l’intera macroregione saheliana è infestata di formazioni jihadiste che già da diversi anni seminano morte e distruzione.
Motivo per cui la Francia aveva allestito, in funzione antiterroristica, l’operazione Barkhane a cui si era aggiunta successivamente quella denominata Takuba, delle forze speciali europee. Il problema di fondo è che a questo punto, avendo la Francia perso del tutto la propria influenza non solo in Mali e Burkina Faso, ma ora anche in Niger, si trova senza un orizzonte chiaro, né militare né politico, e una via d’uscita onorevole. Tra jihadisti, golpisti e mercenari russi, neanche in Niger potrà più esserci spazio per l’influenza della vecchia potenza coloniale.
La posta in gioco è alta se si considera che la Ue in questi anni ha sostenuto l’intervento armato francese contro le formazioni islamiste, offrendole anche un sostegno militare multinazionale. Non solo: Bruxelles finora ha ritenuto il Niger come un vero e proprio baluardo per contrastare i flussi migratori dall’Africa Subsahariana verso il Mediterraneo. Per inciso, è bene precisare che i nigerini sebbene vedano passare sul proprio territorio i migranti più svariati dell’Africa Subsahariana, sono gli unici che non possono partire vista la tremenda condizione di povertà in cui versa il loro Paese. E dire che gli abitanti del Niger potrebbero essere più ricchi di quelli del Canton Ticino se potessero accedere ai benefici delle attività estrattive.
Finora, infatti, il monopolio del business dell’uranio è stato gestito dal monopolista francese Orano, (la leggendaria ex Areva); per non parlare di quello aurifero, appannaggio di potentati più o meno occulti. E proprio a proposito degli affari sporchi c’è da considerare che il Niger è uno snodo cruciale per il traffico della cocaina sudamericana. Occorre poi rilevare che sebbene il Mali e il Burkina Faso siano solidali con la giunta nigerina, essi hanno assunto due linee di condotta diverse. Mentre il Mali ha accolto a braccia aperte la Wagner, non ha fatto lo stesso la giunta burkinabé. La sensazione è che il generale Tchiani propenda per la linea d’azione maliana.
La situazione è molto complessa e preoccupa anche gli Stati Uniti che, come gli altri attori occidentali, in Niger hanno interessi e contingenti militari. Nessuno ha una sfera di cristallo tra le mani ma l’Europa, se vuole ricoprire un ruolo decisivo deve promuovere il dialogo, costi quel che costi, mettendo al primo posto l’agenda dei diritti umani, unitamente a quella dello sviluppo e non i propri interessi economici come ha sempre fatto la Francia in questi anni.