Un incontro che mi ha cambiato la vita. «Il destino in quella mano sul volante»
Poeta, narratore e autore teatrale Da “Tutto chiede salvezza” la serie per Netflix Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Vive ad Ariccia. Poeta e narratore. La sua ultima raccolta poetica è “Tempo circolare” (poesie, 2019-1997), Pequod. Del 2018 è “La casa degli sguardi”, Mondadori, suo primo romanzo (Premio Volponi). Nel 2020 è uscito “Tutto chiede salvezza”, Mondadori (vincitore del Premio Strega giovani). Da questo romanzo è stata tratta per Netflix la serie omonima. Del ’21 è “Sempre tornare”, Mondadori. Nel ‘22 al Centro Teatrale Bresciano, la sua prima opera teatrale: “Agnello di Dio”. In gennaio è uscito il suo ultimo romanzo, “Fame d’aria”, Mondadori.
La vita, amico, è l’arte dell’incontro. È il titolo di un album di Vinicius De Moraes, scritto nientepopodimeno che con Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo. Sì: la vita è l’arte dell’incontro. Ma cos’è la vita? Perché se non proviamo nemmeno lontanamente a mettere a fuoco questo primo fattore difficilmente avremo modo di guardare con occhio lucido al secondo. La vita è avvenimento, transito. Nascere, vivere, morire. Come i tre atti di un racconto, di una drammaturgia. In questo transito, il rischio più grande è di cristallizzarsi attorno a eventi del passato, incontri del passato, magari accaduti nella nostra giovinezza, per poi vivere di nostalgia, partendo dal presupposto, sbagliato, che tutto quello che ancora abbiamo da vivere non sarà neanche lontanamente accostabile a quel vissuto lì. Dirci, dire: ho incontrato. E mi basta. Invece no. La vita è l’arte dell’incontro, qui, oggi, tempo presente. Per questo io non racconterò il più grande incontro della mia vita, ammesso che sia in grado di stilare una gerarchia, ma il più fresco, l’ultimo che in ordine di tempo mi ha fatto vivere la rivoluzione che porta con sé l’incontro quando è vero.
Maggio scorso. È la settimana terribile che si apre con l’alluvione in Emilia-Romagna: martedì 16. Nei giorni a seguire l’Italia intera è colpita dal maltempo, anche se questo termine: maltempo, sembra ormai obsoleto e riduttivo rispetto ai fenomeni che da qualche anno si abbattono. Bombe d’acqua. Tempeste tropicali. La lingua, come sempre, tenta di inseguire e descrivere il nuovo e il presente. In quella settimana, come ormai da mesi, mi trovavo ad attraversare le nostre regioni per la presentazione del nuovo romanzo. È venerdì 19 maggio, arrivo alla Stazione Centrale di Milano dalla Toscana, mi attende per portarmi a Vigevano, per una presentazione, un driver, l’autista di un servizio Ncc, acronimo per chi non lo sapesse che sta per noleggio con conducente. I l mio autista di giornata, dopo l’incontro di Vigevano, mi porterà in quel di Torino, è la settimana del Salone del libro, altre presentazioni in agenda.
Paolo, nome di fantasia, mi accoglie nella sua auto. Partiamo mentre la pioggia, che da poco aveva smesso di cadere, torna a battere sul tettino della macchina in mezzo al traffico milanese. Dalle prime parole dette, le mezze frasi di circostanza, mi accorgo immediatamente che Paolo ha difficoltà a verbalizzare. Questo termine: verbalizzare, è oramai entrato nel nostro linguaggio comune, rimanda, come funzionamento, regolazione, socialità, psicomotricità, tanto per fare qualche esempio, a quei disturbi del neurosviluppo entrati con prepotenza nella nostra vita. Paolo verbalizza a fatica, e io con altrettanta fatica riesco ad afferrare quello che mi dice. Ho capito abbastanza facilmente che le due bottiglie d’acqua che ho nel portaoggetti dello sportello sono a mia disposizione, poi mi ha detto qualche altra cosa, ma in verità non l’ho compresa, chiudo con un “va bene” solo perché mi vergogno a chiedergli di ripetere, sottolineando così la sua difficoltà. Dopo aver superato il centro di Milano, il traffico diventa più scorrevole, certo, il tempo da lupi, anche se siamo nel cuore della primavera, non invita a uscire di casa. Arriviamo puntuali a Vigevano.
Io entro nella libreria per conoscere i padroni di casa e sapere i dettagli della presentazione che avremo di lì a breve, Paolo, togliendosi le parole di bocca sempre con la stessa fatica, mi dice che mi verrà a sentire assieme alla moglie. La cosa mi fa piacere. Le libraie di Vigevano, qui bisognerebbe aprire un racconto nel racconto, parlare del lavoro delle libraie appena citate, forse più ampiamente del lavoro straordinario, di resistenza umana e culturale di tanti librai sparsi in Italia, le libraie hanno organizzato la presentazione all’interno di una tensostruttura al centro della piazza del paese. Cominciamo e con sincronismo perfetto, la pioggia che scendeva leggera inizia ad aumentare d’intensità. Più i discorsi entrano nel vivo, più i temi vengono sviscerati, più l’acqua scende furiosamente, e con lei il vento. A metà presentazione, grossomodo, non sono un cuor di leone lo ammetto, arriva una ventata così carica d’acqua e d’impeto talmente violenta da farmi smettere di parlare, con una certa titubanza, fra il divertito e lo spaventato, dico al pubblico che un’altra ventata del genere porterà via le tensostruttura che ci protegge, e noi con lei… invece rallenta, torna a essere semplicemente pioggia, la presentazione va avanti sino alla sua conclusione. Il tempo dei saluti, dei ringraziamenti, e con Paolo ci rimettiamo in viaggio. Ora da Vigevano dobbiamo arrivare a Torino. «Per strada troveremo maltempo molto forte, c’è allerta rossa».
Forse è una mia impressione, ma Paolo ha scandito questa frase in modo molto più comprensibile di tutto quello che ha detto sin qui, attribuisco la cosa alla preoccupazione, la tensione di chi è alla guida di un’automobile e sa di andare incontro a una fatica maggiore di quella prevista. E la previsione diventa realtà. Dopo una mezz’ora dalla nostra partenza da Vigevano, il cielo che ci sovrasta inizia a cambiare di colore, da grigio a nero, a viola. La potenza dell’acqua resterà nei miei occhi, nei miei ricordi, a memoria quello che stiamo attraversando è il nubifragio più violento mai vissuto. «La sente la mia difficoltà a parlare?». L a voce di Paolo, sempre incerta, fa fatica a stagliarsi sull’acqua scrosciante. «Sì».
Mi ero già dato una spiegazione, Paolo ha problemi di verbalizzazione dall’infanzia, per età è stato uno di quelli che non ha potuto usufruire della logopedia, e dunque è rimasto con il suo problema. «Sino a dieci anni fa ero il direttore commerciale della Salustri, quella della cancelleria e gli articoli da ufficio, la conosce? ». «Certo che la conosco, chi non la conosce». Sia chiaro: la Salustri, esattamente come il nome Paolo, appartengono al mondo della fantasia. «Mi sentivo il padrone del mondo, ero il padrone del mondo, avevo sotto di me la rete commerciale di tutta Italia, quasi trecento persone». Intanto, il nubifragio sembra diventare qualcos’altro, di definitivo, biblico, ascolto il racconto del mio compagno di viaggio senza poter distogliere gli occhi da quello che sta accadendo. Sembra la fine del mondo. «Vivevo a Roma, con mia moglie, lei Roma la conosce, sa bene il traffico mostruoso, io mi spostavo in scooter, un pomeriggio una signora, così, di botto, fa un’inversione a U, la centro in pieno, ho fatto un volo di venti metri». Paolo si ferma, prende atto di quello che sta succedendo e io con lui, basta avere gli occhi. La Mercedes su cui viaggiamo, una berlina nuova, nuovissima, con tutta la tecnologia delle nuove automobili, mostra il limite umano rispetto alla forza della natura: i tergicristalli, malgrado siano alla massima velocità, non riescono a togliere l’acqua dal parabrezza, sembra quasi che la macchina viaggi sotto una cascata, una cascata senza fine. «Se continua così sono costretto a fermarmi». «Certo».
Avremo una visibilità che non va oltre i cinque metri, viaggiare in queste condizioni è impossibile. «Ricordo solo il risveglio, dopo un mese di coma, non riuscivo a parlare, anche il fisico aveva problemi. Piano piano mi sono ripreso, la lingua è rimasta un po’ annodata, per fortuna braccia e gambe hanno ricominciato a funzionare bene. La sa la cosa più strana? Del mio lavoro, di tutti gli articoli che vendevo, al risveglio non me ne ricordavo uno che sia uno, l’unica cosa che ricordavo è come si guida. Ecco perché ora faccio l’autista, mi mancano due anni di contributi e potrò andare in pensione». «È come diceva lei durante l’incontro per il suo romanzo, spesso il destino somiglia a una pallottola vagante».
Di Paolo mi resterà traccia per tutta la vita, per quello che ha vissuto, detto con la sua difficoltà di parola, e per qualcosa di non detto, ma vivo, incarnato. Mentre parlava, raccontava di sé, i miei occhi per tutto il tempo hanno guardato la sua mano destra aggrappata al volante. Una mano è una mano. Anzi. Una mano è la mano. E quella di Paolo, per un neo in quello spazio di pelle tenera tra pollice e indice, somiglia in modo incredibile a quello di mio padre. Paolo e mio padre. Mio padre è Paolo. Si accende per visioni, minime rivelazioni, lampi, il significato ultimo del destino. Non uno per ogni creatura, ma uno solo per tutti, come viaggiatori sulla stessa barca, pardon, macchina.