Ambiente. Il degrado del Danubio un indizio del legame tra l'ambiente e la pace
Il Danubio nei pressi del villaggio di Vilkovo, in Ucraina Il fiume oggi è definito un «gigante malato»
Anche una manifestazione per il clima può essere una manifestazione contro la guerra. Per Grammenos Mastrojeni, Segretario generale aggiunto per l’Energia e l’azione climatica dell’Unione per il Mediterraneo (Upm) e diplomatico esperto di geostrategia, «prendere coscienza dei rischi di un clima impazzito può favorire un’operazione di pace, integrazione e giustizia di portata inedita». In Versicoli quasi ecologici il poeta Giorgio Caproni, scriveva: « Non uccidete il mare, la libellula, il vento...». Idee e parole semplici, facili da condividere, tuttavia prive di una vera centralità nell’agenda dei governi, che oltretutto dopo il drammatico e umanamente devastante ritorno del tempo bellico nel cuore dell’Europa, ha fatto enormi (inevitabili?) passi indietro rispetto alla Cop26 di Glasgow.
Ora siamo alle porte della Cop27, in Egitto, e questo grande evento porta con sé tutte le inquietudini già messe in risalto dai giovani attivisti per l’ambiente, i quali non mancano di far sentire la loro voce, forte e debole al tempo stesso, nei vari consessi mondiali. Proprio in questi giorni, tra l’altro, è uscito il nuovo libro di Greta Thunberg, The climate book, definito dall’”Independent” «un libro spettacolare ed efficace su scala planetaria». Qui però è utile soffermarsi su una riflessione letta nel bel saggio, edito da Chiarelettere, di Mastrojeni-Pasini, Effetto guerra-effetto serra. Il clima impazzito, le ondate migratorie, i conflitti: « Il cambiamento climatico contribuisce al disagio e all’aumento di povertà di intere popolazioni, esposte più facilmente ai richiami del terrorismo, del fanatismo». In tal senso, una seria analisi geopolitica non può non tener conto della moderna scienza del clima e della dinamica globale di interconnessione. Questo non vuol dire trascurare il dolore delle popolazioni travolte dalle guerre, né mettere sullo stesso identico piano le perdite umane e quelle ambientali, ma cercare di capire, scientificamente, come ogni conflitto sia un potente amplificatore di effetti collaterali, di danni al clima e, ovviamente, ancora nuovamente al genere umano (e in particolare ai bambini, come emerge nel report appena pubblicato da Save the Children, Generation Hope, uno studio sviluppato sul modello appena citato).
Il tema dell’impatto ambientale della guerra torna dunque centrale anche in relazione al conflitto in Ucraina, soprattutto perché la guerra d’invasione russa ha già causato danni a quell’intera area e compromesso l’Agenda 2030 (in tema di politiche verdi), senza considerare gli effetti prodotti per quanto riguarda l’aumento della povertà alimentare in varie zone del pianeta. Il tema è noto e attualissimo, ma è doveroso cercare di ricordare gli altri danni prodotti all’ambiente, certo non più importanti rispetto alle sofferenze di un popolo. Alcuni dati. Come è evidente, una guerra che si verifica in un mare semichiuso, quale è il Mar Nero, influisce negativamente sulla fauna in molti modi. Questo mare era già da tempo segnalato come un luogo a rischio per la pesca eccessiva e illegale; a oggi si osservano, ancor più, gli effetti preoccupanti dei cambiamenti climatici sulle specie autoctone, dovuti ad agenti inquinanti terrestri e all’eutrofizzazione, cioè all’aumento del cibo e degli scarti antropici nell’acqua del mare. I noltre, in questo momento, con una guerra in corso da mesi, si aggiunge una grave crisi della biodiversità, che va a lambire uno dei più importanti fiumi al mondo: il Danubio. Questo fiume, definito anche in alcuni testi e saggi come «il gigante malato », è stato ed è un simbolo della cultura europea, crocevia di incontri sin dal Medioevo, spettatore muto del crollo dell’Impero romano dinanzi all’arrivo di nuovi popoli nelle steppe d’Ucraina e nell’Asia Centrale. Quali sono le reali condizioni del “re dei fiumi”, come lo denominava Napoleone, pensando anche al fatto evidente che il Danubio segnava il confine dell’antica Roma più a settentrione?
Gli ultimi dati arrivano dall’Università della California, proprio in questi giorni, in cui, in diversi report pubblicati, si denuncia che specie animali e vegetali rare o in via di estinzione sono in grave affanno a causa della guerra, oltre al fatto che si registra un netto peggioramento del bilancio idrico del Mar Nero, già peraltro sofferente a causa del “Canale Bystre”. Largo 120 metri e profondo 8, il canale è il frutto di un vecchio progetto, ma preteso dall’Ucraina in tempi recentissimi, nel per collegare il Danubio al mare e aprire rotte commerciali con il Kazakistan e la Russia stessa. I principali problemi per il bel fiume europeo sono iniziati lì. I lavori del canale sono andati avanti nonostante gli avvertimenti del rapporto pubblicato nel 2004 dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite. Nel documento si faceva presente che il canale avrebbe avuto «significativi effetti negativi» sull’ambiente. Il cosiddetto “canalaccio”, inoltre, avrebbe causato «impatti cumulativi su larga scala e a lungo termine sulla vita di pesci e uccelli rari, causando danni irreparabili anche alle piccole attività dei pescatori».
Secondo quel testo, il dragaggio avrebbe determinato un impatto deleterio sulla dinamica del livello dell’acqua lungo il ramo di Bystre, tale da comportare «la perdita degli habitat delle pianure alluvionali, utilizzate dai pesci per la deposizione delle uova, e dagli uccelli per la nidificazione». E arriviamo all’oggi. Vittima di speculazioni strutturali, anche il Danubio sta soffrendo i danni di una devastante guerra. Il disastro ecologico è studiato da tempo dagli esperti, ma, al momento, in molte zone confinanti è visibile a occhio nudo. A questo va aggiunto che le zone umide nel vicino Mar d’Azov, nel Delta del Danubio e nel Golfo di Odessa sono luoghi in cui la biodiversità è già tradizionalmente fragile. Queste regioni risiedono all’interno delle rotte migratorie degli uccelli, per cui è inevitabile mettere in pericolo le specie, che scelgono tali territori per e deporre le uova, mentre quotidianamente l’uomo attua spargimenti di mine fin nelle falde acquifere.
In quasi tutti i paesi del bacino del Danubio, da tempo, gli abitanti hanno il diritto di ricevere informazioni su eventuali emissioni inquinanti nelle proprie comunità locali e hanno libero accesso ai dati sulle emissioni nei registri nazionali di rilascio e trasferimento di inquinanti, grazie alla firma del Protocollo di Kiev del 2003, che ha esercitato una pressione significativa verso la progressiva riduzione dell’inquinamento. Ad oggi, però, la situazione è fuori controllo, il tracciamento meno efficace, se non addirittura, spesso, interrotto da altre evidenti situazioni di emergenza. E mentre il degrado ambientale, potenzialmente irreversibile, è fonte di preoccupazione, l’impatto economico di livelli così bassi dell’acqua del fiume a causa della siccità rappresenta un ulteriore allarme.
La flotta principale per il trasporto marittimo del Danubio è stata costruita per operare con un pescaggio operativo di 2,5-2,7 metri. Attualmente, le navi – a causa degli effetti più recenti delle sciagure climatiche – operano con 1,4-1,7 metri, costringendo Germania, Austria, e in parte Ungheria, a fermare le attività lungo il corso d’acqua. Il delta ucraino del fiume Danubio era considerato un paradiso terrestre, al confine con la Romania. Oggi, per chi ha potuto vederlo direttamente, è irreversibilmente danneggiato. Un lascito della guerra che si aggiunge alla sofferenza delle popolazioni e alla tragedia delle vittime umane.