Il direttore risponde. Il debito e l’interesse che conta
Venti, tre, quattro, due, cinque… Certe percentuali cambiano nei mesi e negli anni, e magari qualcuno riesce persino a distrarsi. L’importante, gentile signor Ferretti, è che non ci distraiamo al punto di considerare con noncuranza un numero tondo eppure spigolosissimo: millenovecento miliardi. Quella cifra gigantesca delinea le proporzioni della montagna del debito pubblico italiano e, proprio venerdì, abbiamo saputo da Bankitalia che ad agosto, grazie a un piccolo e prezioso calo, si era attestata per l’esattezza a quota 1.899.553 milioni di euro. Questo vuol dire che la cima della montagna un po’ s’è ghiacciata e un po’ è stata erosa. Tuttavia la mole resta immane, e nei prossimi mesi promette di appesantirsi di nuovo a causa delle violente tempeste speculative scatenatesi in estate attorno ai nostri titoli del debito. Ogni altra cifra e percentuale (crescita, occupazione, tagli, interessi…) ha senso se non ci dimentichiamo di tutto questo. Non dobbiamo lasciarci schiacciare dalla montagna e dall’idea che non sia ormai più scalabile (e spianabile), ma non possiamo neanche consolarci. Il prezzo (e non è un modo di dire, ma un’altra montagnola di miliardi) che paghiamo per gli errori e le insufficienze accumulati non ci permette di fare sonni tranquilli, ma ci obbliga a lavorare di più e meglio per disincagliarci da un presente stagnante e per preparare un futuro degno ai nostri figli. Questo è l’unico “interesse” che chi governa deve saper servire e deve far crescere nel cuore e nella testa degli italiani. Si tratta di chiedere, ottenere e investire – con tenacia e lucido coraggio politico – una “fiducia” decisiva, che nessuna “conta” in Parlamento potrà mai certificare.