Eccoci al dunque. Le carte dell’inchiesta sul cosiddetto "caso Ruby" dopo essere passate per molti – troppi – tavoli sono tutte sul tavolo giusto, quello processuale. Non è ancora chiaro se giusto sia anche il luogo in cui il tavolo è posto. Se debba cioè essere il Tribunale ordinario di Milano – secondo il parere dei magistrati che hanno incardinato, gestito e valutato i vari passaggi dell’inchiesta – a processare con «rito immediato» il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile, o se invece il giudice naturale del premier sia – secondo l’avviso già espresso da Camera dei deputati e Governo – il Tribunale dei ministri.Questo significa che incombe un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. E l’interesse generale impone che si faccia tutto il necessario per sciogliere il nodo con rigorosa e assoluta tempestività. Non saranno così ancora fugate le ombre che si sono addensate, non sarà sciolto l’insanabile contrasto tra la visione dell’accusa (nelle carte c’è la «prova evidente» dei reati del premier) e la tesi della difesa (nelle carte c’è la dimostrazione della sua innocenza) e non saranno neanche cancellati il profondo e amaro disagio e le contrapposte e anche esacerbate indignazioni che i fatti evocati e lo scandalo che ne è scaturito hanno suscitato in quella che si usa definire l’«opinione pubblica», ma almeno ci sarà il binario sul quale far correre questa pesante vicenda verso la sua conclusione. Secondo le regole che tutti devono rispettare.