È stato, quello di ieri, il Concistoro delle sorprese. Iniziate con l’annuncio, un mese fa, dei diciannove nuovi porporati chiamati da Papa Francesco a far parte del Collegio cardinalizio, a scompigliare qualche scenario consolidato nel nome di un’universalità sempre più accentuata. E culminate ieri con la presenza in San Pietro, del tutto inaspettata, del Papa emerito Benedetto XVI, alla sua prima uscita pubblica quasi esattamente un anno dopo la rinuncia al ministero petrino. E mai s’erano visti insieme, così, due pontefici. A rendere inedita e consegnare alla storia una giornata che, da ogni angolo visuale la si guardi, ancora una volta ha detto più di quanto s’è visto.
L’ha fatto nelle parole di Francesco, e nei gesti che l’hanno scandita. Quelli rituali legati da sempre al momento vissuto nella 'cattedrale del mondo': la consegna della berretta, dell’anello e della bolla di creazione ai nuovi porporati, e quelli a sorpresa, spontanei, con Benedetto a capo scoperto, con la papalina bianca stretta nella mano, accogliere l’abbraccio di Papa Bergoglio che gli si fa incontro, deviando dal percorso del suo ingresso, sotto gli occhi stupiti e commossi di milioni e milioni di persone.
Qua e là, nel consueto contorno di commenti che accompagnano e seguono ogni atto di Papa Francesco, si sono udite di nuovo risuonare espressioni come 'rivoluzione', 'rottura degli schemi', e cose del genere. Ben più importante, però, al di là delle definizioni e di qualunque peso a esse si voglia dare, è la plasticità con cui quanto accaduto ieri mattina è riuscito a rendere vivo quel rapporto tra memoria e futuro senza il quale non si va avanti. Senza il quale, anzi, ci si spegne. E l’idea stessa di generazione e di tradizione si svuota di senso.
Innumerevoli le volte, e le occasioni, in cui Francesco ha toccato questo tasto, a significare quanto importante sia quel rapporto nella sua visione. Solo andando a memoria ricordiamo le parole pronunciate a Rio De Janeiro, a luglio, il messaggio alla Settimana sociale di Torino, a settembre, il discorso al corpo diplomatico, a gennaio, e ancora l’altro giorno, incontrando i fidanzati nel giorno di San Valentino. Ieri quell’idea portante s’è riflessa ben oltre le parole, immergendosi nel cuore della stessa Chiesa, in uno dei momenti della sua vita più simbolicamente importanti, dove non si celebra una gerarchia , ma un servizio e un’impegno di particolare di fraternità e di testimonianza. Un servizio di stretta vicinanza e collaborazione al quale il Papa chiama, e dove la porpora sta lì a dire della consapevolezza di poter esser chiamati a dare prova di fede e di speranza e a vivere la carità fino alla diffusione del sangue...Ed è qui, allora, che anche le parole pronunciate da Francesco, il suo richiamare il «camminare con Gesù», quel Gesù che non è né una filosofia né un’ideologia, ma «una via», da percorrere senza curarsi della fatica anche sapendo che è «la via che porta alla croce », sottolineano una volta di più quanto bisogno abbiamo della memoria, a cominciare da quella degli apostoli, per costruire il futuro. Che poi è la nostra missione di cristiani, alla quale tutti insieme siamo chiamati, ciascuno secondo la propria vocazione. Tutti sulle orme dello stesso Cristo che «sempre ci apre la via», e che dalla memoria degli apostoli sappiamo che ha vinto la morte, ed è per questo che la croce non dovrebbe mai farci paura. Ieri, a San Pietro, tutto questo era riflesso nelle tre generazioni di cardinali presenti. E in quei due Papi visti come mai s’erano visti prima, in duemila anni di storia. E forse ieri davvero s’è intuito – e , con emozione, sentito anche sulla pelle – il senso e la grandezza dell’umile rinuncia di Benedetto e della luminosa missione di Francesco, quasi che l’uno senza l’altra non possano essere. Un vero passaggio epocale, del quale non ci rendiamo ancora pienamente conto.