Opinioni

Questo straordinario Concistoro. La via e i segni

Salvatore Mazza domenica 23 febbraio 2014
È stato, quello di ieri, il Concistoro del­le sorprese. Iniziate con l’annuncio, un mese fa, dei diciannove nuovi porpo­rati chiamati da Papa Francesco a far parte del Collegio cardinalizio, a scompigliare qual­che scenario consolidato nel nome di un’u­niversalità sempre più accentuata. E culmi­nate ieri con la presenza in San Pietro, del tut­to inaspettata, del Papa emerito Benedetto X­VI, alla sua prima uscita pubblica quasi esat­tamente un anno dopo la rinuncia al mini­stero petrino. E mai s’erano visti insieme, co­sì, due pontefici. A rendere inedita e conse­gnare alla storia una giornata che, da ogni an­golo visuale la si guardi, ancora una volta ha detto più di quanto s’è visto. L’ha fatto nelle parole di Francesco, e nei ge­sti che l’hanno scandita. Quelli rituali legati da sempre al momento vissuto nella 'catte­drale del mondo': la consegna della berret­ta, dell’anello e della bolla di creazione ai nuovi porporati, e quelli a sorpresa, sponta­nei, con Benedetto a capo scoperto, con la papalina bianca stretta nella mano, acco­gliere l’abbraccio di Papa Bergoglio che gli si fa incontro, deviando dal percorso del suo ingresso, sotto gli occhi stupiti e commossi di milioni e milioni di persone. Qua e là, nel consueto contorno di com­menti che accompagnano e seguono ogni atto di Papa Francesco, si sono udite di nuo­vo risuonare espressioni come 'rivoluzio­ne', 'rottura degli schemi', e cose del gene­re. Ben più importante, però, al di là delle de­finizioni e di qualunque peso a esse si voglia dare, è la plasticità con cui quanto accadu­to ieri mattina è riuscito a rendere vivo quel rapporto tra memoria e futuro senza il qua­le non si va avanti. Senza il quale, anzi, ci si spegne. E l’idea stessa di generazione e di tradizione si svuota di senso. Innumerevoli le volte, e le occasioni, in cui Francesco ha toccato questo tasto, a signifi­care quanto importante sia quel rapporto nel­la sua visione. Solo andando a memoria ri­cordiamo le parole pronunciate a Rio De Ja­neiro, a luglio, il messaggio alla Settimana so­ciale di Torino, a settembre, il discorso al cor­po diplomatico, a gennaio, e ancora l’altro giorno, incontrando i fidanzati nel giorno di San Valentino. Ieri quell’idea portante s’è ri­flessa ben oltre le parole, immergendosi nel cuore della stessa Chiesa, in uno dei momenti della sua vita più simbolicamente importan­ti, dove non si celebra una gerarchia , ma un servizio e un’impegno di particolare di frater­nità e di testimonianza. Un servizio di stretta vicinanza e collaborazione al quale il Papa chiama, e dove la porpora sta lì a dire della consapevolezza di poter esser chiamati a da­re prova di fede e di speranza e a vivere la ca­rità fino alla diffusione del sangue...Ed è qui, allora, che anche le parole pronunciate da Francesco, il suo richiamare il «camminare con Gesù», quel Gesù che non è né una filosofia né un’ideologia, ma «una via», da percor­rere senza curarsi della fatica anche sa­pendo che è «la via che porta alla cro­ce », sottolineano una volta di più quan­to bisogno abbiamo della memoria, a cominciare da quella degli apostoli, per costruire il futuro. Che poi è la nostra missione di cristiani, alla quale tutti in­sieme siamo chiamati, ciascuno se­condo la propria vocazione. Tutti sul­le orme dello stesso Cristo che «sem­pre ci apre la via», e che dalla memo­ria degli apostoli sappiamo che ha vin­to la morte, ed è per questo che la cro­ce non dovrebbe mai farci paura. Ieri, a San Pietro, tutto questo era ri­flesso nelle tre generazioni di cardina­li presenti. E in quei due Papi visti co­me mai s’erano visti prima, in duemi­la anni di storia. E forse ieri davvero s’è intuito – e , con emozione, sentito an­che sulla pelle – il senso e la grandez­za dell’umile rinuncia di Benedetto e della luminosa missione di Francesco, quasi che l’uno senza l’altra non pos­sano essere. Un vero passaggio epoca­le, del quale non ci rendiamo ancora pienamente conto.​