Convention democratica. Il colpo d'ala di Biden nel grigiore di Milwaukee
Qualcosa non ha funzionato in questa convention democratica di Milwaukee, e non certo e non solo perché si è svolta in condizioni paradossali, da teatro dell’assurdo, come se la piattaforma Zoom o lo smart working fossero gli araldi del futuro che ci attende e non un mesto palliativo a cui tutto il mondo civile è costretto a causa del Covid-19. Quel « What went wrong? » (cosa è andato storto?), che già sibila assassino a mezza voce fra le fila del Partito democratico, ha vari volti e tante maschere. Quella di Hillary Clinton, per cominciare, riesumata dalla lunga quarantena depressiva seguita alla sua clamorosa sconfitta del 2016 davanti all’outsider Donald Trump e restituita con moltissima cautela alla passerella virtuale del Wisconsin insieme al marito Bill, con un risultato d’immagine umiliante per entrambi: Bill che arringa senza calore il popolo dem mente i social network lo bombardano impietosi diffondendo un imbarazzante massaggio a bordo di un aereo da parte di una delle giovani ancelle del defunto pedofilo Jeffrey Epstein; Hillary che cerca invano di attestarsi come paladina delle donne quando già ci sono la candidata vicepresidente Kamala Harris e la più verace, combattiva e soprattutto più giovane Alexandria Ocasio- Cortez a rubarle la scena.
Già, la Ocasio-Cortez. Le hanno dato un minuto scarso a Milwaukee, neanche fosse titolare di una sorta di quota riservata alle minoranze etniche. Se avessero potuto, mugugnano in parecchi, alla trentunenne ragazza del Bronx fedelissima di Bernie Sanders avrebbero addirittura negato la parola. E qui si comincia a capire perché in questa convention democratica qualcosa è andato storto. Non c’è da indagare troppo: era un sinedrio di vecchi, anzi in qualche caso (i Clinton, di sicuro) di vecchie se pur rispettabili larve. Come Jimmy Carter, sventurato e sfortunato ex presidente, che ha 95 anni. O Colin Powell, ex segretario di Stato protagonista della deplorevole manfrina sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, che di anni ne fa 85. Rispetto a loro Joe Biden, settantasettenne, sembra un ragazzo. Ma il problema rimane. I giovani dunque dove sono?
Diciamolo chiaro, non ci sono. Il vecchio apparato dem li ha strangolati nella culla. Come ha fatto con il promettente sindaco di una cittadina dell’Indiana Pete Buttigieg, come ha fatto con il deputato texano Beto O’Rourke, come ha tentato di fare – ma qui non c’è riuscito – con la pasionaria Ocasio-Cortez. Non ci sono i giovani e apparentemente, sopra quel luccichio di vecchie glorie, non c’è un’idea che sia una, se non quella di chiudere il conto con il quadriennio trumpiano. Troppo poco, per un partito che galoppa storicamente sul futuro.
Ma, che sia un paradosso o l’eterogenesi dei fini poco importa, alla fine è proprio il vecchio Sleepy Joe a cavalcarne una. L’idea vecchia ma intramontabile di una società risanata, unita, solidale, rooseveltianamente nemica soltanto della paura che ha avvelenato l’America con quei quattro cavalieri dell’Apocalisse: la crisi economica, la pandemia, l’ingiustizia sociale e razziale e il cambiamento climatico. In filigrana, uno dei migliori discorsi dem mai sentiti negli ultimi decenni. Più umile dell’obamiano «yes we can», più vicino alla « Great Society » di Lyndon Johnson, più ordinario e insieme più convincente proprio perché viene da un attempato gaffeur che ha perduto due figli e sa bene cosa sia il dolore. Non per niente Biden milita nella politica da cinquant’anni e forse, dietro quel bonario sorriso da irlandese fiducioso nelle capacità dell’uomo, che finora non ha mai sbaragliato avversari ma ha sempre fatto il numero due, si nasconde un anziano Davide che può battere il Golia che semina odio. Con accanto una seconda linea – pardon: una figura giovane, donna, colored – che meglio di Kamaka Harris non avrebbe potuto desiderare.