«Il mio segnale scatenate l’inferno» intimava il futuro gladiatore Russel Crowe, in un’espressione cinematografica entrata nella leggenda. Oggi, attorno al monumento simbolo dei più cruenti giochi imperiali, si materializza l’ennesimo pandemonio – l’etimo non sembri casuale – di polemiche sulla situazione dei beni culturali in Italia. Soprattutto di quelli, come l’Anfiteatro Flavio, capaci di identificare agli occhi del mondo il nostro Paese a primissima vista. È ben possibile, e doverosamente ce lo auguriamo, che nelle prossime ore si trovi una soluzione per evitare che sabato sera, mentre i musei e i siti archeologici di 300 città d’Europa si spalancheranno al pubblico a prezzi ultra popolari, il Colosseo rimanga desolatamente e svogliatamente chiuso. Tutti i protagonisti della vicenda in queste ore sono scesi nell’arena, brandendo ciascuno, come i "retarii" o i "secutores" o gli "hoplomachi" dei tempi d’oro e di sangue, le rispettive armi d’offesa e di difesa.Tutti possono far valere ottimi argomenti. Chi per deprecare l’indisponibilità a qualunque concessione da parte dei custodi, titolari del diritto sancito con patto sindacale ad astenersi da prestazioni straordinarie. Chi per recriminare contro l’indifferenza ai problemi del personale nelle quotidiani disfunzioni, salvo alzare tardive grida di dolore quando si profilano emergenze. Gli spettatori sulle tribune, nella maggior parte dei casi, incitano i contendenti a colpire più duro, secondo la prassi da sempre in uso tra i cultori dei
circenses, degni antenati degli ultras dei nostri giorni.Alcuni si distinguono per buona volontà, offrendosi anche di sostituire su base volontaria i contendenti riottosi. Comunque finisca, per favore, nessuno – ma proprio nessuno: politico, sindacalista, funzionario, intellettuale... – si arroghi il diritto di agitare il pollice verso l’alto o il basso. Almeno finché non avrà dimostrato con fatti e iniziative concreti di essersi affrancato dalle vecchie pigrizie e dalle più recenti cattive abitudini.