Valencia. Il cimitero nel parcheggio (che per fortuna non c'era) e quel che fa notizia
I soccorritori all'ingresso del parcheggio del Centro commerciale di Aldaia
In America come in Italia, ma anche in Brasile o in Gran Bretagna, il giornalismo sta vivendo un’importante crisi di fiducia da parte dei lettori. Una crisi che merita qualche riflessione. Ben prima del digitale, i quotidiani venivano criticati. Ma nessuno pensava di potere fare a meno dell’informazione. O (peggio) di considerarla qualcosa dalla quale fuggire (oggi nel mondo lo fa il 30% delle persone). Poi è arrivato il digitale e con esso i sistemi che misurano in tempo reale cosa fanno i lettori e così abbiamo (ri)scoperto che certi articoli, certi titoli, certi gossip e certi argomenti piacciono molto più di altri. E se anche non piacciono, vengono comunque cliccati. E siccome i clic, fino a poco tempo fa, erano il mezzo migliore per guadagnare, abbiamo imboccato un’ulteriore deriva.
La storia la conoscete bene. Se la ripetiamo è perché dal Brasile agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all’Italia la fiducia dei lettori nei giornali (anche online) è in forte calo. Secondo l'Edelman Trust Barometer 2024, è calata per il quinto anno consecutivo. E in Italia si attesta al 38%, sotto la media mondiale. Secondo il Digital News Report 2024 del Reuters Institute, poi, la fiducia nelle notizie rimane stabile al 40%, ma è inferiore di quattro punti rispetto ai livelli registrati durante la pandemia. Per Jeff Bezos, proprietario di Amazon ma anche del quotidiano Washington Post, i giornali per (ri)guadagnare fiducia non devono schierarsi, tanto meno appoggiando un candidato alle presidenziali americane. Peccato che, qualunque siano state le vere ragioni che hanno spinto Bezos a intervenire sul suo giornale per affermarlo, la sua uscita ha fatto disdire in poche ore l’abbonamento al Washington Post a 250mila persone.
A noi resta una domanda: ma davvero il problema del giornalismo è che non deve schierarsi? Facciamo un salto in Italia, a sabato scorso. Alle 16.01 la principale agenzia di stampa, titolava: Valencia, «un cimitero nel centro commerciale». L'attacco è di quelli che sconvolgono: «Un enorme cimitero di acqua e fango avrebbe cancellato la vita di un numero imprecisato di persone...». A quell’ora nei quotidiani si sta iniziando a chiudere il numero della domenica e nelle redazioni dei siti molti sono già andati o stanno per andare a casa. Ma davanti a una notizia non si può stare fermi. Anche il più navigato dei professionisti si immagina le urla, la paura, la disperazione, le lacrime, le ultime parole e le preghiere di chi è rimasto intrappolato in quel parcheggio sotterraneo. L'agenzia prosegue: «I sub dell'Ume hanno dovuto aspettare che la melma fosse prosciugata per aprirsi il passo, ma qualcuno di loro ha già parlato di “un cimitero lì sotto”». Non dice altro. Quindi dobbiamo basarci su quattro parole («un cimitero lì sotto») pronunciate da un sub anonimo. Che sicuramente le avrà dette in buona fede, immaginando anche lui lo strazio che avrebbe trovato.
Le ricerche all'interno delle auto sommerse dal fango non hanno per ora portato al ritrovamento di cadaveri - Reuters
Così domenica mattina i giornali italiani riportano la notizia in prima pagina, con minore o maggiore evidenza. Alle 12.07 di domenica, però, cambia tutto. L'Ansa titola: «Non ci sono vittime nel parking ad Aldaia». Ovviamente è una splendida notizia, dopo una lunga serie di drammi da Valencia. Non puoi che essere felice. Ma un’amica ti gela con una domanda: com'è possibile che voi giornalisti abbiate dato l’allarme in prima pagina per una tragedia che non c’era, prima di verificare che la notizia fosse vera? Rispondo: sono sicuro che nessuno dei giornalisti coinvolti abbia lanciato l’allarme per calcolo, ma so che ancora una volta qualcosa non ha funzionato, tanto più che i giornali spagnoli non hanno pubblicato la notizia in prima pagina.
E ti torna in mente un passaggio dell'Edelman Trust Barometer 2024: «...per cercare di recuperare la fiducia, i giornali e i giornalisti devono impegnarsi a essere più trasparenti su come vengono prodotte le notizie e su come vengono verificate». Sembra facile, ma purtroppo non è così facile. Sulle nostre spalle pesano decenni e decenni nei quali «si è sempre fatto così», pesa la velocità, il fare tanto e spesso in fretta. Pesa una quantità sempre più crescente di notizie da vagliare in sempre meno tempo. Ma la verità è che non ci sono scuse. Per dirla con Justin Smith, cofondatore del sito di notizie Semafor, «per ripristinare la fiducia nell'informazione, dobbiamo guardare avanti, non indietro». Ieri mattina Smith ha pubblicato una lettera aperta a Jeff Bezos dove l'ha invitato a non pensare in maniera vecchia. «Abbiamo bisogno che ti rimbocchi le maniche e ti metta in gioco (...). Abbiamo bisogno di innovazione radicale e leader visionari». Mi permetto di aggiungere: abbiamo bisogno più di giornali bussola che di articoli da cliccare. Tutti. Noi giornalisti ma anche (e soprattutto) noi lettori.