A l terzo giorno, provi a immaginare che le cronache da un matrimonio sull’orlo del divorzio si siano smorzate e sfumino con un che di eleganza, lasciando spazio ad altro. Magari a una riconciliazione. Invece sulla querelle tra il premier e la sua signora non c’è foglio che si risparmi di mettere un carico da novanta, sfruculiando presente e passato, stendendo copioni da telenovela, rappresentando così una vicenda privata e di per sé dolorosa come un’incresciosa faida familiare e legale dai risvolti patrimoniali miliardari. Del resto, come nelle peggiori tradizioni quando un matrimonio va in pezzi, la linea bipartisan non attacca. E qui tra il premier e la signora del premier non sembra andare meglio: chi sta con lui e compiange l’uomo potente, il cesare allegrotto, piantato in asso da una donna ingrata; e chi – e sono i più –sta con lei, moglie trascurata e oltraggiata all’onor del mondo. Pochissimi – e noi, con ogni possibile delicatezza, vorremmo essere tra questi – spendono un pensiero dolente e solidale per i figli, ormai grandi ma assai meno grandi della tempesta che gli si è scatenata nel cuore e nella testa. Il rispetto, d’obbligo quando si maneggiano pubblicamente i casi personali e privati di ogni persona, di ogni famiglia, è una regola ferrea. E non sono poi così rari i casi di politici che in casi analoghi di tale rispetto hanno goduto. Anche per questo può aver suscitato qualche stupore che la first lady, da «parte offesa», abbia scelto la maggiore agenzia giornalistica per commentare le discutibilissime scelte del marito-premier e, qualche giorno dopo, due tra i più grandi giornali italiani per metterlo idealmente alla porta. E lui? Il presidente esuberante, il presidente esteticamente corretto, allergico alla bruttezza e con un debole dichiarato per la gioventù delle attrici in fiore, pur avendo scelto la guasconeria come arte del consenso ora scopre di colpo il basso profilo e la privacy. E grida al complotto. È chiaro che a nessuno è lecito usare i disastri altrui come arma politica. E a nessuno dovrebbe essere concesso di sguazzare là dove sono in gioco i sentimenti delle persone e la vita di una famiglia. Essere ricchi, potenti e famosi non mette al riparo dalle sofferenze, i soldi non risarciscono nessun figlio dal dolore di assistere alle liti e al divorzio dei genitori. Tanto più se pubblicamente. Pubblicamente, allora, qualche appunto va preso: ciò che farebbe ridere in una puntata del Bagaglino non può non preoccupare i cittadini che di tanto «ciarpame» alla fin fine farebbero volentieri a meno. Preoccupa perché la politica e lo spettacolo, in un abbraccio mortifero, hanno dato nell’occasione il peggio di sé. Non ci è piaciuto quel clima da scambio di 'favorini' veri, falsi o presunti tra amici e amiche. E ci ha inquietato lo spargersi, tra alzatine di spalle e sorrisetti irridenti o ammiccanti, di un’altra manciata di sospetti sulle gesta del presidente del Consiglio. Il sospetto per chi gestisce la cosa pubblica può essere persino peggiore della verità più scomoda. E comunque, prima o poi, arriva il momento del conto. Possiamo dirlo? Questa volta abbiamo vissuto con autentica tristezza il valzer delle candidature: se ci fossero davvero in lista d’attesa veline o attricette non lo sapremo mai, ma anche solo l’ipotesi di un uso delle ragazze come esca elettorale è suonata sconfortante. Perché inaccettabile è una concezione della donna meramente strumentale: la «candidata» dev’essere bella, giovane, piacente... possibilmente disponibile. Magari così solo allo sguardo degli estranei, ma si sa che le apparenze contano. E queste rivelano un ricorso talora spregiudicato al potere. Tuttavia la politica buona, quella che a volte diventa anche grande, è del potere un uso ben temperato, è sereno rigore, è consapevolezza della tenace significanza di un impegnativo discrimine etico. È tenere sempre bene a mente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nel «fare». Sappiamo che un uomo di governo va giudicato per ciò che realizza, per i suoi programmi e la qualità delle leggi che contribuisce a varare. Ma la stoffa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono indifferenti. Non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presidente che con sobrietà sappia essere specchio – il meno deforme – all’anima del Paese.