Radicalizzazioni nella democrazia. Il caso serio d'America
Il sistema politico dei controlli e dei contrappesi, la democrazia che può deragliare per un momento, ma ha sempre in sé gli anticorpi (per esempio, la stampa indipendente come nel caso dello scandalo Watergate), il Paese che può permettersi di stilare le classifiche della libertà nel mondo intero sta precipitando in una fase preoccupante di conflittualità ideologica non incanalata, di turbolenza sociale e di instabilità istituzionale. L’America spesso presa a modello non ha una storia quieta e lineare. Ha fatto una guerra quando si è trattato di abolire la schiavitù, ha visto presidenti assassinati, movimenti nonviolenti sui diritti civili contrastati con la forza e maccartismo persecutorio contro idee sgradite, ribellione contro un conflitto (quello del Vietnam) e cambi radicali negli orientamenti elettorali. Ma oggi la polarizzazione fra i due partiti maggiori ha raggiunto picchi rari, travolgendo le regole che hanno finora garantito ordinate transizioni che rispecchiavano le maggioranze via via emerse nella nazione.
Il pronunciamento della Corte Suprema che venerdì scorso ha ribaltato la sentenza Roe vs. Wade del 1973 ha avviato una valanga di cui si stenta anche solo a immaginare le proporzioni. Rimandare ai singoli Stati la legislazione completa sull’aborto può essere letto come il riconoscimento di una maggiore tutela della vita nascente. Ma quello che si vuole qui sottolineare sono le conseguenze a cascata di un verdetto propiziato dalla nuova composizione della più alta magistratura americana. L’interruzione di gravidanza è un tema che da decenni è tra i più sentiti politicamente. Il posizionamento sull’aborto era l’elemento che meglio permetteva di collocare i votanti nelle ultime presidenziali.
Pro-choice (libera scelta) per i democratici, pro-life (divieto in varia misura) per i repubblicani. Dove nasca questa linea di faglia è difficile dire in sintesi. Essa ha comunque portato con sé, creando uno spartiacque, le altre questioni più controverse e divisive: le armi, la pena di morte, l’immigrazione, i diritti delle minoranze, il livello della tassazione e il ruolo dello Stato nel welfare. Quello che sta avvenendo e che avverrà nei singoli Stati è che i Parlamenti, secondo la maggioranza prevalente, legifereranno in un senso o nell’altro. In base ai ricorsi, i giudici di diverso grado potranno bloccare la normativa o ripristinarla, fino ad arrivare alle Corti Supreme locali. Ma ogni quattro anni le composizioni delle Camere facilmente muteranno in reazione alla legislatura precedente, avviando una guerriglia giudiziaria speculare.
Si stabilizzerà un’opinione pubblica nazionale? Non certo a breve termine. La Corte Suprema federale sbilanciata sulle posizioni dei repubblicani ha già mostrato di inclinare verso quella galassia valoriale, bocciando (in via preliminare) una limitazione alle armi e ribaltando una sentenza che in Louisiana aveva fermato la riforma dei collegi elettorali perché sospettata di distorsioni razziali a favore dei bianchi (in buona misura sostenitori del Partito repubblicano). Proprio ieri ha poi picconato anche le competenze dell’Agenzia per l’ambiente, limitandone la possibilità di imporre la riduzione di emissioni clima-alteranti alle centrali, in accoglimento del ricorso di alcuni Stati e di aziende che usano carbone per produrre energia.
Di fronte al pronunciamento sull’aborto dei nove giudici nominati a vita (cui si unisce da oggi la prima donna nera), lo stesso presidente Joe Biden ha usato espressioni che non contribuiscono al rispetto dei ruoli istituzionali, andando apertamente contro il principio che le sentenze si rispettano.
Non solo mancanza di galateo istituzionale, ma sostanziale delegittimazione della Corte, bollata come organismo politico e non più di garanzia. Nelle stesse ore, sta emergendo l’estensione e la profondità del progetto che stava dietro l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. L’allora presidente Donald Trump con il suo entourage allargato ha cercato in tutti i modi e falsamente di dimostrare inesistenti brogli nella vittoria del candidato democratico nel novembre 2020. Tentativi di premere sui funzionari per avere prove artefatte e poi sui testimoni del complotto messo in atto contro i princìpi basilari della Costituzione sono squadernati nelle audizioni della speciale Commissione sotto gli occhi dell’America che scende in piazza pro o contro l’aborto.
Trump non nasconde l’ambizione di ricandidarsi nel 2024 e il suo partito non sembra avere la forza di fermarlo. In un quadro internazionale estremamente complicato, in cui le autocrazie – trovando inopinate sponde nel fronte opposto – tentano di guadagnare terreno con la guerra (in diversi modi condotta e accettata) o con la competizione e penetrazione economica senza regole, le convulsioni della democrazia americana sono a dir poco allarmanti. Se viene meno la fiducia nei meccanismi rappresentativi, nelle regole procedurali condivise e nelle istituzioni in sé, allora è difficile frenare una deriva populista e illiberale, alimentata anche dalla prevalenza degli aspetti emotivi e poco riflessivi (non ultimo il rifiuto della scienza) tipici dell’era dei social media. La storia degli Stati Uniti mostra che fratture e fibrillazioni sono state spesso superate con una nuova sintesi, e non si deve quindi cedere al pessimismo pregiudiziale. Ma serve vigilare con attenzione su questo caso serio d’America, anche perché il contagio non si estenda ad altre democrazie.