Opinioni

Pistola fumante. Caso Pozzolo, occasione per ripartire da «disciplina e onore»

Marco Iasevoli mercoledì 3 gennaio 2024

Dato che “Costituzione” sarà una parola-chiave del 2024, è utile richiamarne l’articolo 54: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». Pur mettendo in campo ogni sforzo di garantismo e prudenza per quanto riguarda il percorso giudiziario della vicenda, è di tutta evidenza che la notte di Capodanno il deputato di Fdi Emanuele Pozzolo – da ieri indagato per lesioni colpose, accensioni ed esplosioni pericolose e omessa custodia di armi - non abbia dimostrato né disciplina né onore.

Nulla di disciplinato o di onorevole si può rintracciare nel portarsi dietro una “pistoletta da borsa” a una festa cui partecipano famiglie e minori, nonché un sottosegretario del governo sotto scorta, il compagno di partito Andrea Delmastro Delle Vedove, tra l’altro da mesi nel fuoco delle polemiche per l’accusa di aver utilizzato a fini politici informazioni d’ufficio sull’anarchico Alfredo Cospito e su detenuti in regime di 41-bis. Men che mai si può rintracciare qualcosa che abbia a che fare con la disciplina e l’onore nel fatto che dal “revolverino” sia partito un colpo che ha ferito una persona, per fortuna in modo lieve.

E, si consenta, al netto dei chiarimenti poi arrivati sui primi atti d’inchiesta, le categorie della disciplina e dell’onore verrebbero gettate al macero se anche solo si pensasse di utilizzare in questa vicenda l’immunità parlamentare, istituto serio che nasce per proteggere la libertà politica degli eletti e non per evitare le conseguenze di bizzarrìe individuali.

Insomma, a mano a mano che si accumulano gli elementi di questa pericolosa e grottesca vicenda le questioni si riducono a due: perché Pozzolo non avverte ancora, in condivisione con la propria comunità politica, la necessità di dimettersi dal prestigioso scranno da parlamentare; e perché il primo partito nazionale ha solo “evocato” provvedimenti a suo carico e non li ha ancora assunti, né istruiti.

Rispondere alle due questioni non serve a circoscrivere un caso specifico, ma assolve anche ad una funzione più generale: prendere o meno sul serio, appunto, l’articolo 54 della Carta. Perché quella norma è una chiara indicazione di cosa significhi essere classe dirigente seria e responsabile in un Paese democratico. La Camera di riferimento e il partito di appartenenza di Pozzolo non possono sfuggire ad una decisione rigorosa se non al prezzo di svilire il senso stesso della rappresentanza parlamentare e della funzione legislativa esercitata dagli eletti.

È per questi motivi che il caso investe Giorgia Meloni in qualità di prima presidente del Consiglio di “destra destra” del Paese, che più volte ha sostenuto quanto il suo “mondo” abbia i titoli per guidare il Paese. Il caso-Pozzolo le dà (darebbe, è questione di volontà) l’opportunità di dire proprio a questo “mondo” in modo chiaro e definitivo quali siano le responsabilità che derivano dall’esercizio del potere, quali siano i comportamenti non più ammissibili e tollerabili. Ma Meloni è interpellata anche in qualità di leader indiscussa di un partito, Fdi, che ambisce a condurre i conservatori italiani ed europei ai tavoli che contano, togliendosi di dosso non solo i fantasmi del passato ma anche le contraddizioni del presente (e Pozzolo politicamente le rappresenta tutte, dall’ideologia no-vax alla cultura “americana” delle armi sino alla facilità con cui si scade nella provocazione per un like in più).

Sinora la premier, di fronte a comportamenti “fuori le righe” – è un eufemismo - della classe dirigente di Fdi ha tenuto un registro dolce. Per lo più ha fatto spallucce, poche volte si è lanciata in ammonimenti bonari, ben sapendo che proprio quelle scorribande fuori dal “politicamente corretto” rappresentano una chiave potente per orientare gli umori degli elettori. E a chi in un modo o nell’altro le ha consigliato di fare le “grandi pulizie” nel partito, ha sinora opposto, nei fatti, il timore di essere scavalcata a destra.

Allo stesso tempo, però, sarebbe miope scaricare solo su Meloni il tema di una classe dirigente spesso non all’altezza del Paese. Ora tocca alla premier risponderne in prima persona perché è in cima alla piramide delle responsabilità. Ma il senso della regressione costante, della faciloneria, dell’arroganza ostentata lo si avverte su ogni lato del campo politico, e da molti anni. A maggior ragione è auspicabile un segnale netto di Meloni e di Fdi sul caso-Pozzolo: potrebbe essere un segnale anche agli altri partiti per iniziare, dopo una lunga fase di rincorsa verso il basso, una competizione al rialzo.