Fecondazione. Il caso del bimbo «con 3 genitori» pone una questione etica fondamentale
Nel recente messaggio al congresso sul metodo Billings per la regolazione naturale della fertilità, Papa Francesco ha ricordato che, «se è bene aiutare e sostenere un legittimo desiderio di generare con le più avanzate conoscenze scientifiche […], non lo è creare embrioni in provetta e poi sopprimerli» e «commerciare con i gameti » (28 aprile 2023). Che il proprio figlio sia sano è certamente un «legittimo desiderio» dei genitori, e lo è anche quello di ricorrere alle «più avanzate conoscenze scientifiche» per curarlo nel caso sia affetto da una malattia, offrendogli la possibilità di una vita più simile a quella dei coetanei se non è dato di guarirlo.
Tuttavia, non ogni intervento biotecnologicamente e clinicamente possibile è per ciò stesso sempre moralmente lecito. Quando esso comporta «creare embrioni in provetta», ancor più nella consapevolezza di non poter evitare di «sopprimerli» in un certo numero, all’inizio del loro sviluppo, perché non corrispondenti ai criteri di integrità genetica, cellulare o morfologica prefissati per il loro trasferimento nell’utero materno. O nei casi in cui è richiesto dalla procedura l’utilizzo di spermatozoi od ovociti estranei alla coppia che desidera un figlio esente da una patologia ereditabile, giungendo fino a «commerciare con i gameti», riducendoli a merce biologica scambiabile.
Un richiamo, quello di Francesco, attualissimo. Da poco è nota la nascita nel Regno unito di un bambino attraverso la tecnica della “donazione mitocondriale” (Mdt), autorizzata in quel Paese dal 2015. La Mdt prevede due distinte fertilizzazioni in vitro con gli spermatozoi del padre, la prima con ovociti della madre i cui mitocondri contengono un difetto genomico (mutazione) che non si vuole trasmettere al figlio per evitargli una malattia, la seconda con gli ovociti di un’altra donna con mitocondri normali. A fusione dei pronuclei maschile e femminile avvenuta, quando i due embrioni unicellulari (“zigoti”) inizierebbero la prima segmentazione che dà origine al loro sviluppo umano, il primo viene distrutto per estrarne il solo nucleo (“enucleazione”) e trasferirlo nel secondo, dal quale è stato tolto il proprio nucleo. Una procedura di micromanipolazione che ricalca quella della clonazione di tipo Scnt (“Trasferimento di nucleo di cellula somatica” nella cellula uovo privata del nucleo), applicata all’animale sin dal 1996. In questo caso, però, il nucleo è zigotico, non di cellule dell’adulto.
I mass-media la hanno titolata come “creazione di bambini con tre genito-ri”, alludendo al fatto che la donna fornitrice di ovociti senza mutazione patogena costituirebbe una “seconda madre” del nascituro. “Madre geneticamitocondriale”, perché il suo contributo allo sviluppo del figlio sarebbe limitato al piccolo numero di geni, 37 in tutto, contenuti nel Dna (mtDna) degli organelli cellulari chiamati mitocondri ed ereditati da ciascuno di noi per via materna (mentre il Dna del nucleo, nuDna, deriva circa in parti uguali dal padre e dalla madre). In realtà, il fine di questi esperimenti ormai giunti in fase clinica è quello di evitare lo sviluppo nel figlio di una “malattia mitocondriale” ricorrendo ad un gamete estraneo alla coppia la cui cellula viene utilizzato per intero (non solo la sua frazione mitocondriale), ad esclusione del nucleo.
Come spesso accade negli interventi biomedici, il bene e il male non è legato allo scopo (in sé quasi sempre giusto), ma al mezzo per conseguirlo, alle procedure e alle loro conseguenze. La Mdt, oltre a comportare la distruzione di un numero di embrioni generati ma non eletti per il trasferimento in utero, implica la modificazione del genoma del nascituro (che comprende il mtDna) in tutte le linee cellulari del corpo, incluse quelle destinate alle generazioni successive (figli dei figli), con conseguenze imprevedibili. Così, la terapia genica cosiddetta “germinale” non ha sinora trovato generale consenso né scientifico né etico tra ricercatori e medici. Inoltre, il fenomeno della “eteroplasmia” (copresenza nella stessa cellula di mitocondri con differenti mtDna) e del “chimerismo mitocondriale” (tessuti con mtDna non identici), che possono portare alla cosiddetta “reversione” (ritorno patogenetico del mtDna difettoso che si voleva evitare al nascituro), dovrebbe escludere esperimenti di Mdt sull’uomo e incoraggiare, invece, ricerche su terapie geniche e cellulari differenti, già avviate e con significative possibilità di successo sia sul feto in gestazione che sul bambino già nato.