Lavoro. Il caporalato ora pure da Stato estero e il nodo del subappalto da tagliare
Ormai siamo al caporalato da parte di Stato estero. Lo sfruttamento dei lavoratori è talmente diffuso in Italia che persino i gruppi pubblici stranieri non si fanno scrupoli a ricorrervi. Trovano evidentemente normale che il management italiano da loro “controllato” utilizzi false cooperative per frodare il fisco e risparmiare sui costi di gestione, faccia nascere e morire queste coop nel giro di un paio d’anni così da eludere le verifiche, sfrutti i lavoratori, nasconda gli infortuni sul lavoro. E non si accorgono neppure della corruzione interna all’azienda ai suoi massimi livelli. Delle due l’una: o non svolgono controlli interni o, come proprietà, sono complici dei comportamenti scorretti finalizzati a un solo scopo: accrescere gli utili aziendali e personali a tutto danno dei lavoratori.
La società della logistica Brt - un tempo Bartolini ora parte del gruppo internazionale GeoPost controllato da La Poste francesi - è stata messa ieri in amministrazione giudiziaria per un anno dalla Procura di Milano. Il pm contesta infatti una serie di reati fiscali e il ricorso sistematico al caporalato. Stessa sorte per Geodis, anch’essa controllata da società francesi a partecipazione pubblica. Un nuovo doppio caso, dunque, dopo quello per certi versi analogo del leader mondiale della logistica Dhl, controllata da Deutsche Post, cioè dalle Poste tedesche. Le accuse in questo caso risalgono al 2021 e, lo scorso novembre, la Procura ha archiviato il procedimento contro Dhl, dopo che il gruppo con una condotta riparatoria ha assunto direttamente 1.500 lavoratori prima operanti nelle cooperative in subappalto e versato al fisco 37 milioni di euro tra imposte non pagate, sanzioni e interessi.
Le contestazioni avanzate dalla Procura a Brt appaiono particolarmente gravi. Dalle indagini è infatti emerso «un sistematico sfruttamento di diverse migliaia di lavoratori » con la «transumanza di manodopera da una cooperativa all’altra» per eludere i controlli, appunto, e per risparmiare su scatti d’anzianità e altri istituti contrattuali. Il gruppo, infatti, utilizzava quasi 3mila fornitori di manodopera per un totale di 26.105 autisti sfruttati con turni massacranti, pagati a cottimo, senza ferie o tredicesima, senza il pagamento di tutti i contributi dovuti.
Per la maggior parte si tratta di stranieri e persone in difficoltà economica, senza valide alternative e perciò impossibilitate a denunciare. Soggetti deboli che non venivano tutelati con visite mediche o corsi di formazione. In caso di infortunio, addirittura, il colosso della logistica «evitava di chiamare l’ambulanza facendo accompagnare l’infortunato in ospedale da una persona di fiducia», in maniera da evitare denunce e controlli, scrivono i giudici della sezione Misure di prevenzione di Milano.
Ad aggravare il quadro già a tinte molto fosche, «l’ammissione da parte dell’amministratore delegato di aver ricevuto denaro dal 2016 al 2022 da parte di alcuni fornitori di Brt per farli lavorare» e la testimonianza di un consulente giuslavoristico che ha confermato «il meccanismo degli appalti in Brt» per il quale le cooperative «lavoravano sottocosto» risparmiando poi sulle spettanze dei lavoratori. Il personale delle società esterne era di fatto controllato da Brt, tramite quello che nei verbali viene definito «il caporale dei caporali» che sceglieva i capi delle varie cooperative su «base etnica ». Un sistema che ha permesso al gruppo Brt di risparmiare 100 milioni di euro l’anno. A danno del nostro Erario e sulla pelle dei lavoratori. Per tutto questo si può parlare di un criminale sistema di caporalato.
Non una novità in Italia, dove dall’agricoltura alle tipografie ai rider, non si contano i casi denunciati. Ma certamente aggravato dal fatto che a commetterlo è stata una grande multinazionale controllata da uno Stato estero. Nostro stretto partner nell’Unione europea. Un comportamento di cui le nostre autorità politiche – particolarmente sensibili ai temi nazionali – farebbero bene a chiedere conto anche in sede diplomatica, perché il nostro Paese non può essere considerato da società pubbliche europee terra di scorribande senza regole.
Il nodo gordiano da tagliare definitivamente, però, è quello del subappalto troppo generalizzato. Da vietare con nettezza per tutte le attività core, tipiche, di un’impresa (in questo caso gli autisti per le consegne). Perché le aziende devono essere direttamente responsabili delle condizioni di lavoro di chi presta la propria mano e mentedopera per la crescita di un’impresa. L’alternativa è solo arrendersi allo sfruttamento dei più deboli.