San Francesco a Parma. Si fa spazio a Dio nel grande cantiere che sa di Medioevo
Che suggestione potrà mai esserci nella posa del sottofondo di un pavimento? Un’operazione routinaria di carpenteria, una comunissima procedura edilizia. Ma c’è cantiere e cantiere. E la base stesa nei giorni scorsi a formare l’appoggio per il nuovo suolo della monumentale chiesa di San Francesco a Parma prende dall’atmosfera del luogo l’energia per riportare il visitatore incantato all’affaccendarsi delle maestranze attorno alla costruzione di una cattedrale, pare quasi di sentirne le voci dentro il nudo tempio di mattoni.
Non fosse per qualche dettaglio tecnologico, potremmo trovarci in una scena dell’italianissimo Medioevo comunale, e non solo per le vertiginose navate gotiche di una chiesa che sta nel cuore stesso di Parma, imponente e mistica, ma che la città non conosce. Non più, e non ancora. Salame e lambrusco sono di certo gli stessi ingredienti di allora, quando si tratta di far festa. E oggi, a fine giornata, capomastri, geometri, manovali, con il direttore dei lavori e i francescani che presidiano la comunità religiosa annessa alla chiesa, hanno un buon motivo per sorridere, finalmente, dopo settimane di lavoro a testa bassa.
Il grezzo piancito è infatti il primo segnale compiuto della rinascita di questo capolavoro assoluto dell’arte sacra, una summa del gotico concepita nel vivo del Tredicesimo secolo come se l’uomo volesse abbracciare Dio, tanto la chiesa è verticale e ampia, grandiosa e pacificante. È ora che torni a parlare come sa, perché da troppo tempo – generazioni intere – i parmigiani la possono vedere solo dall’esterno. Requisita da Napoleone e umiliata per farne ogni uso servile immaginabile, con il coro ligneo fatto a pezzi per scaldare le truppe, San Francesco è stata in ultimo e a lungo carcere cittadino (ne fu ospite anche Giovanni Guareschi, nemo propheta in patria), per essere svuotata solo in anni recenti e infine lasciata in uno stato di pietoso abbandono.
La tenacia di più vescovi locali ha infine ottenuto dopo estenuanti contenziosi legali che il Demanio – proprietario dell’edificio – almeno consentisse alla Diocesi di avviare i lavori di ripristino e di concedere a questa chiesa di rara bellezza di tornare quanto prima luogo aperto alla città, spazio sacro, con la prossimità alle aule universitarie a destinarla come naturale casa per la ricerca religiosa e interiore dei giovani, ma anche a espressioni artistiche e culturali.
Proprio ai giovani probabilmente pensa monsignor Enrico Solmi quando stringe le mani di muratori commossi quanto lui, vescovo che ama gettare viadotti ad alta velocità tra intenzioni e fatti. Ora c’è il suolo stabile su cui riprendere il filo spezzato dei sognatori duecenteschi, allestire le impalcature e così consolidare e ripulire navate e colonne, aprire la chiesa per qualche iniziativa, come le giornate 'a porte aperte', e riportarci poi nostro Signore a restauro concluso, quando Parma sarà Capitale italiana della cultura, nel 2020.
Il sole che al tramonto entra dal delicato ricamo del rosone aperto sulla liscia facciata pare lo sguardo discreto del Padrone di casa che partecipa alla festa col suo stile, quasi a incoraggiare il vescovo Enrico che, sostenuto dallo spontaneo comitato cittadino di sostegno, a pensare come si mettono insieme i soldi necessari ad arrivare in fondo ai lavori non ci dorme la notte (ma benedetto Stato: oltre al meritorio 'art bonus', non poteva spingersi più in là della pura e semplice 'concessione' alla Chiesa nemmeno fosse una petulante affittuaria, perdipiù gravata dell’onere di ristrutturare?). Adesso però è festa, c’è un primo pavimento solido su cui camminare. Nel centro della vita di ogni giorno, Dio cerca di noi. E i carpentieri e i muratori di Parma, oggi come otto secoli fa, gli stanno preparando il luogo dove, con l’arcana lingua dei mattoni a vista fino in cima al più aereo arco acuto, possa farsi intendere meglio dal nostro cuore che non cessa di desiderarlo.